Patrizio Gonnella, giurista e filosofo del diritto, dal 2005 è presidente dell'Associazione Antigone, che da oltre vent'anni si occupa di carceri, diritti umani e tortura.
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Chiunque abbia scritto su quella porta di Mondovì “Juden hier” (“qui abita un ebreo”) ha offeso la memoria su cui si fondano le democrazie contemporanee e ci rimanda a crimini inauditi, in presenza dei quali troppi furono gli indifferenti. Ma va ricordato che ci furono anche “i giusti”.
La violenza brutale subita dal povero Stefano Cucchi ha infine trovato dei colpevoli. Non solo, oggi è accertato giudizialmente che Stefano è stato torturato a morte. Se i giudici non hanno usato il termine tortura è solo perché dieci anni fa essa, per il nostro pavido legislatore, non era ancora considerata un delitto.
Una bimba uccisa dalla mamma nel carcere romano di Rebibbia. Dovunque, in galera o no, una madre ammazza un figlio bisogna restare in silenzio. Un rispettoso silenzio. In ogni caso, prima di twittare e commentare sarebbe opportuno fermarsi e cercare di capire quali dinamiche si sviluppano in carcere.