Giovanna Procacci, sociologa, è stata professore ordinario di Sociologia all'Università Statale di Milano. Attualmente collabora con organizzazioni della società civile che si occupano di immigrazione, solidarietà ed educazione alla cittadinanza attiva. Fa parte della Fondazione “È stato il vento-Onlus” che si occupa della ripartenza di Riace.
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Nel processo di Locri, il pm ha chiesto la condanna di Domenico Lucano a 7 anni e 11 mesi di reclusione, tra l’altro per associazione a delinquere. A sostegno non ha contestato comportamenti specifici ma il “modello Riace”, la sua impostazione, il suo senso. È la logica del processo politico.
Pochi giorni fa Domenico Lucano annuncia che si candiderà alle elezioni regionali. Nel processo a suo carico il pubblico ministero chiede di acquisire l’intervista. L’obiettivo è dimostrare che l’ex sindaco di Riace aveva agito, quattro anni prima, per procurarsi un vantaggio elettorale. Così vanno le cose nel processo di Locri.
Dopo un anno e mezzo di protagonismo dell’accusa, finalmente è tempo dei testi a difesa. E va in scena, anche il Tribunale, un’altra Riace, la vera Riace: luogo di accoglienza e di solidarietà in cui, come dice padre Alex Zanotelli, «Lucano ha anticipato quello che dovrebbe essere fatto dal Governo».
Il processo di Locri contro Mimmo Lucano continua, sia pure a rilento. L’impostazione dell’accusa è sempre più evidente: trasformare in reato Riace stessa, l’idea di comunità, di sviluppo, di integrazione fra i popoli che essa rappresenta. Per questo il processo contro Lucano è un processo politico che ci riguarda tutti.
Il processo contro Domenico Lucano continua e tutto lascia pensare che durerà ancora a lungo. Intanto quel che accade nel dibattimento e intorno ad esso dimostra sempre più che siamo di fronte a un processo politico che rischia di segnare la storia di questa prima parte del secolo.
Secondo la Procura di Locri rilasciare la carta di identità a una richiedente asilo eritrea e al suo bambino è un reato: ovviamente se a farlo è stato Domenico Lucano. È una sorta di reato “ex post”. Una pratica svolta alla luce del sole e nota a tutti diventa reato per effetto di un cambiamento di prospettiva politica. Questo accade a Riace.
L’epidemia impone qualche riflessione. Ci siamo abituati a pensare in termini di “noi e gli altri”: l’altro come tutto ciò che non siamo noi, chi è diverso, chi viene da fuori. Poi, tutt’a un tratto, ci troviamo scansati agli aeroporti o respinti alle frontiere, come i migranti, gli untori. Ci tocca riconoscere che l’altro siamo noi.