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Domenico Gallo, magistrato è presidente di sezione della Corte di cassazione. Da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace, è stato senatore della Repubblica per una legislatura ed è componente del comitato esecutivo del Coordinamento per la democrazia costituzionale. Tra i suoi ultimi libri "Da sudditi a cittadini. Il percorso della democrazia" (Edizioni Gruppo Abele, 2013) e "Ventisei Madonne Nere" (Edizioni Delta tre, 2019).
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La Pre-Trial Chamber ha riconosciuto la competenza della Corte penale internazionale a giudicare i crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Palestina. Il riferimento è ai crimini commessi «da chiunque» ma il premier israeliano Netanyahu è corso subito al riparo, bollando il fatto come «puro antisemitismo». Non è un bel segnale.
L’incarico a Draghi è una sconfitta della politica e avalla tesi pericolose come l’utilità del ricorso a “uomini della provvidenza”. Di più: Draghi è un esponente dell’ortodossia neoliberista. E tuttavia la partita non è chiusa e molto dipenderà, in caso di formazione del governo, dalle forze parlamentari che lo sosterranno.
La prima guerra del Golfo ha segnato una svolta. La caduta del muro di Berlino, due anni prima, aveva aperto una stagione di pace: in prospettiva, se non nella realtà. Ma con le bombe americane scaricate il 16 gennaio 1991 sull’Iraq la guerra è tornata ad essere strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
Lo strappo è stato compiuto. Comunque si valuti l’esecutivo in carica, l’apertura di una crisi oggi, in piena pandemia, è un gesto di irresponsabilità verso il Paese e un regalo alla destra (in termini elettorali se si andrà al voto anticipato e, comunque, in termini di consenso). Ma non è certo il primo strappo istituzionale di Renzi.
Le rotte sono diverse – i Balcani o il Mediterraneo – ma le politiche non cambiano. In entrambi i casi gli Stati europei sbarrano i confini e ricacciano indietro i profughi, in aperta violazione del diritto d’asilo e del divieto di respingimento, proclamato dagli articoli 18 e 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
Il Parlamento, anche quando funziona male, è il simbolo della democrazia. Per questo l’assalto a Capitol Hill dei sostenitori di Donald Trump assume una gravità che va oltre le distruzioni e gli sfregi consumati. È il segno dei guasti istituzionali, difficilmente reversibili, prodotti da un quadriennio di violenza e sopraffazione.
Il virus che non ci aspettavamo ha segnato profondamente le nostre vite nel 2020. Arriviamo alla svolta dell’anno nuovo sospesi tra un passato a cui non si può tornare, un presente oscuro e un futuro che non sappiamo immaginare. Oggi più che mai avremmo bisogno di scelte cruciali. Ma la politica non offre grandi speranze.
Mentre la pandemia ha ripreso la sua corsa, facendosi beffe delle misure di contenimento, nel nostro Paese l’incertezza sul futuro e il balletto sulle misure da adottare si accompagnano a personalismi intollerabili e manca finanche un confronto chiaro ed esplicito sulle strategie per assicurare un diverso modello di sviluppo.
Era il 10 dicembre 1948 quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, promettendo all’umanità l’inizio di una storia nuova. Oggi, 72 anni dopo, quella Dichiarazione è in gran parte inattuata (anche a casa nostra) ma resta la stella polare per la convivenza civile.
Il Patto sulle migrazioni e l’asilo adottato dall’Unione promette un salto di qualità comprensivo dell’impegno al soccorso nel Mediterraneo e alla condivisione di responsabilità di tutti gli Stati membri. Ma la promessa è tradita dalle singole disposizioni che confermano la logica del rifiuto e la costruzione di un’Europa-fortezza.