Simona Fraudatario, antropologa, esperta di America Latina, lavora nella segreteria del Tribunale permanente dei popoli.
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In questa estate, in cui il dibattito pubblico è occupato dalla siccità e dalla guerra in Ucraina, ci sono alcuni grandi assenti. Tra questi i Rohingyas e i popoli del Rojava, nei cui confronti è in atto un vero e proprio genocidio ad opera del Myanmar e della Turchia nel silenzio (interrotto solo da qualche dichiarazione di facciata) e con la complicità della comunità internazionale.
I diritti umani sono oggetto di crescenti violazioni nel mondo, in Europa e anche nel nostro Paese. E ad essere vittime di abusi sono frequentemente anche i difensori delle persone migranti e rifugiate, i difensori ambientali, i giornalisti, gli avvocati. Per questo le istituzioni italiane e internazionali non possono restare inerti.
La vicenda dei Rohingyas può essere raccolta attorno a poche parole-chiave (genocidio in corso, impotenza programmata del diritto internazionale, diritti umani in un’era post-umana) che ne fanno un promemoria delle implicazioni di una realtà globale nella quale i diritti umani e dei popoli sono sospesi senza tempo.