Francesco Fantuzzi, animatore del gruppo civico Reggio Città Aperta, consigliere della cooperativa di finanza mutualistica e solidale Mag6, è promotore di iniziative di partecipazione civica culturale e ambientalista nel settore dei beni comuni. Ha scritto da ultimo, con Franco Motta, "Dentro la zona rossa. Il virus, il tempo, il potere" (Sensibili alle foglie, 2020).
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Il libro online del generale Vannacci ripropone il problema dell’esistenza o meno di limiti alle esternazioni nel tempo dei social. Il virtuale sembra, infatti, garantire una sorta di salvacondotto anche per offese alla sensibilità altrui, per intolleranza e razzismo. Non è un bel segnale e la libertà di espressione non c’entra nulla.
Postiamo di tutto, ogni atto che compiamo, i momenti di gioia, di dolore, ciò che mangiamo, pensiamo, senza ormai alcun filtro, discutiamo animatamente, non di rado senza alcun rispetto, con persone che poi dal vivo non salutiamo nemmeno. È questa la vita che ci attende all’epoca del distanziamento sociale? Ma, soprattutto, è questa la vita?
«Prima piangono disperati perché non piove, poi piangono disperati perché piove troppo e qualcuno annega. Ma si può sapere cosa cavolo vogliono?»: il messaggio di Vittorio Feltri, postato su Facebook il 24 maggio, ci introduce appieno nel periodo del “disumanesimo”, nel quale il linguaggio bellico ci sovrasta e la rete ci fornisce la possibilità di esprimerci senza filtri, non affidando più alle tenebre i nostri sfoghi.
Il sindaco di Massa Lombarda attribuisce agli istrici, che hanno scavato dei tunnel negli argini dei fiumi, la responsabilità per l’alluvione che ha colpito il suo territorio. Dopo i runner e gli orsi è la volta dei roditori. Alla tragedia si affianca la farsa. Ma è possibile che sia immancabilmente colpa di qualcuno o qualcosa d’altro e che chi amministra sia sempre immune da ogni responsabilità?
La foto che ritrae i principali leader politici (Conte escluso) in posa di gruppo al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini dà l’immagine di un teatrino in cui gli attori fanno finta di litigare in pubblico ma sono sempre pronti a trovare accordi in privato. Superfluo dire che la cosa non può che sconcertare i cittadini e alimentare disaffezione e sfiducia nei confronti della politica.
Da vaccinato, ritengo che il green pass sia un errore. Ma ancor più mi preoccupa il crescere dell’intolleranza nei confronti di chi la pensa diversamente. I problemi complessi necessitano di analisi articolate, non di tifoserie. E invece stiamo creando un mondo diviso tra buoni e cattivi, responsabili e untori, consapevoli e soldatini orwelliani.
Il linguaggio, come noto, non descrive la realtà, la plasma a suo piacimento. Il cosiddetto green pass ne è un caso di scuola. Cosa c’è di green in un pass che attesta una o più vaccinazioni e che abilita ad alcune attività e ne esclude altre? Certo il termine non aiuta a capire i motivi reali di questo strumento e a fare valutazioni conseguenti.
Stiamo ricadendo nella zona rossa. Senza avere il coraggio di chiamarla col nome appropriato e inventando colorazioni improbabili per non riportare alla luce termini inquietanti come lockdown. Ma il sistema vacilla e bisogna cambiare registro. Per intanto, l’unico vaccino disponibile è la consapevolezza.
Si comincia, sui media e nelle stanze della politica, a parlare di Natale agitando dubbi e speranze. Comunque sia, sarà un Natale diverso in cui anche i riti familiari verranno ridimensionati. Non sarà un male se diventerà un’occasione per invertire la corsa ai consumi e la sconsiderata tendenza della crescita infinita su un pianeta finito.
Nei due mesi del lockdown, autovetture, aeroplani, la maggior parte delle fonti di rumore è scomparsa dal nostro orizzonte sonoro. E ha fatto la sua comparsa, anche in città, il silenzio: una condizione esistenziale nuova e aliena per la società del rumore. Ma abbiamo imparato a non rompere quel silenzio, a non temerlo, a conviverci?