Ha Insegnato per due decenni filosofia e storia presso il Liceo scientifico "A. Gramsci" di Ivrea. La sua riflessione si muove tra filosofia (Aporia, 2004), memorialistica (concentrazionaria e resistenziale) (Lettera da Mauthausen e altri scritti sulla Shoah, 2004; A scuola di Resistenza, 2006), esegesi biblica (Giobbe e gli altri, 2016; Il Luogo della Vita. Riflessioni sul Vangelo di Tommaso, 2018) ed estetica (letteraria e musicale) (Tolstoj, Flaubert, Rilke, Proust, Ibsen, Pergolesi, Vivaldi, Beethoven, Rachmaninov, Mahler). Tra le riviste che hanno ospitato i suoi scritti: Testimonianze, Fenomenologia e Società, Paradigmi, Interdipendenza, Nuova Rivista Musicale Italiana, Israel, Historia Magistra...
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«Che razza di esseri umani sono, che razza di mostri quelli che non sono mai sazi di uccidere, per i quali ogni miseria che riversavano sugli ebrei altro non era che uno stimolo a spingerli in una miseria ancora più profonda e più spietata?». La domanda di Thomas Mann rimanda al fenomeno dell’autoalimentazione della violenza che è stata il connotato più profondo dell’irrazionalismo nazista.
Anche in questa stagione di guerra la pace sembra essere un’aspirazione condivisa. Eppure, nonostante le buone intenzioni e gli sforzi di molti il sentiero della pace è lontano anni luce. A spiegarne il perché sono parole antiche di Isaia e di Paolo secondo cui quel sentiero è inconoscibile dalla ragione, strutturata sulle categorie dell’intelletto, e richiede di percorrere la via dell’agàpe o dell’amore.
Dalla fine del secolo scorso l’individualismo competitivo ha frammentato e avvelenato la società annullando la capacità delle persone di riconoscersi l’una nell’altra. Di qui cinismo e cattiveria. E poi, con la pandemia, insofferenza, diffidenza, paura, xenofobia. È in questo stato di incarognimento che tra un mese andremo al voto con una politica che, invece di contenere, cavalca questi sentimenti.
Anche l’ultimo drago, pur avvezzo alle sfide rischiose, ha ceduto ai morsi dei serpenti di palazzo. Gli stessi, o altri ad essi affini, che 17 mesi prima avevano determinato la fine di un altro “salvatore della patria”, con conseguente crisi nelle stesse condizioni di oggi, e che sostenevano e sostengono di essere l’unica forza che agisce per il bene del paese.
«Nonostante la sofferenza patita, la speranza domina l’abominio». In questa citazione Alberto Cavaglion sintetizza il senso della testimonianza dei sopravvissuti di Auschwitz che affidarono al proprio racconto dell’orrore un valore pedagogico.Una filosofia rivisitata ora alla luce di una nuova guerra e di nuovi orrori.
Le immagini, terribili, della guerra in Ucraina ci fanno toccar con mano che la pace è stata, per noi, solo una (seppur lunga) tregua. Pensavamo che fosse un dato ontologico che niente e nessuno ci avrebbe mai portato via. E invece questo nostro tempo sembra essere quello in cui le tempeste si moltiplicano e si intensificano in vista di una più che temibile tempesta perfetta.
Dopo Auschwitz si ha il dovere di dubitare anche delle figure più insospettabili. Persino di Giobbe, simbolo della sofferenza e dell’ingiustizia subìta. Perché spesso quest’ultima e l’ingiustizia agìta si intrecciano. Come quando, ritenendoci giusti ed essendo considerati tali, con il nostro disimpegno e il nostro disinteresse perpetuiamo l’ingiustizia, magari inconsapevolmente, nei confronti degli altri.
In tempi oscuri vi fu chi teorizzò l'”eticità della guerra” nel quadro di una vera e propria “ideologia della morte”, tipica dei fascismi. La finale di Wembley, forma sublimata di battle, non è paragonabile a ciò (il gioco riscatta l’orrore bellico), purché non si torni a scambiare il cinismo per saggezza e a praticare l’odio.
I lettori di Primo Levi conoscono il valore che il raccontare ha avuto per lui, testimone senza il quale il mondo non avrebbe saputo «di che cosa l’uomo è stato capace, di che cosa è tuttora capace». Ma la lezione di Levi è, anche, quella del superamento dell’orrore, in un elogio della vita e del lavoro.
Da tempo la questione del potere si coniuga con l’informatizzazione del sapere. E c’è chi prospetta collegamenti programmati a una banca dati o connessioni a un solo computer che forniscano in simultanea e in remoto un sapere manualistico o digitale a migliaia o a milioni di utenti. È riuscito il virus a risvegliarci?