Amedeo Cottino è stato professore di Sociologia presso le Università di Umeaa (Svezia) e di Torino. Si è occupato di diritto internazionale umanitario in qualità di esperto della Croce Rossa Internazionale. Ha scritto sul lavoro nero nell'edilizia e sulla criminalità dei colletti bianchi. Studia, tra l’altro, i temi dell'uguaglianza di fronte alla legge e della responsabilità individuale di fronte alla violenza.
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In Italia, l’eredità dell’amianto si stima in 4000 vittime all’anno fra i lavoratori e coloro che abitavano nei pressi delle fabbriche. È responsabilità di Stephan Schmidheiny, per un decennio dominus incontrastato dell’industria amiantifera Eternit, ma anche dei molti (consulenti, medici, politici) che sapevano e hanno coperto o taciuto. Ma nessuno di loro – incomprensibilmente – viene definito criminale.
La verità sulla campagna del 1942-1943 in Russia non è quella evocata nell’istituzione della Giornata della memoria e del sacrificio degli Alpini ma quella descritta in molte opere di Nuto Revelli e sintetizzata nelle parole di uno dei sopravvissuti: «È triste il ritorno dalla guerra. Contadino, mi sono trovato senza forze, senza salute, senza niente. […] Spero di non vedere mai più una guerra. Basta con la guerra».
Come ogni fenomeno epocale, la pandemia ci disvela l’esito di uno scontro, di una lotta di classe che ha visto la vittoria dei ricchi: nella distribuzione delle risorse, nella organizzazione del sistema, nel linguaggio, nelle stesse coscienze dei sudditi. Ma le manifestazioni di dissenso, le proteste e i tumulti possono innescare il cambiamento.
La condanna di Romiti per falso in bilancio non ne ha impedito la beatificazione in occasione della morte. Non a caso, perché la rimozione serve a confermare l’idea che il crimine è appannaggio di altri: di bassa estrazione sociale e soprattutto stranieri, meglio se irregolari.
La mobilitazione delle Sardine contro l’avanzata autoritaria e razzista del duo Salvini-Meloni ha dei precedenti, come la discesa in campo dei cittadini danesi in difesa degli ebrei nel 1943. I casi sono diversi, ma c’è, in entrambi, l’emergere di un torrente carsico di storie di riconoscimento e solidarietà.
A cento anni dalla nascita il ricordo di Nuto Revelli è una necessità per riaffermare con lui l’obbligo di dar voce a chi voce non ce l’ha, a coloro che non sanno di possedere quel diritto. Per fare storia, ma anche politica, in un altro modo. Cominciando da piccoli gesti di umanità, di bellezza, di poesia.
Reagire alla cultura dell’odio è possibile (oltre che necessario). Nella storia è accaduto, e con successo. Per esempio con la mobilitazione del popolo danese in difesa degli ebrei dal nazismo. La strada è segnata: uscire dall’indifferenza e riconoscere l’altro con gesti quotidiani capaci di produrre un effetto virtuoso a catena.
A cosa servono i giornali? A fornire informazioni (magari in contraddittorio) o a criminalizzare gli avversari, propri o del Potere di cui sono espressione? Il direttore de “La Stampa” non ha dubbi e ci offre, nel commento alla manifestazione Sì TAV del 10 novembre, una pagina da non perdere.
Non c’è giorno senza qualche nuovo episodio di violenza contro persone di colore. Sono episodi isolati, frutto dell’aggressività di singoli, oppure sono la parte emergente di un tessuto violento e profondo, diffuso nella nostra società? Certo sono una “spia” preoccupante.
Di fronte all’onda nera che monta in Italia e in Europa ci sentiamo, spesso, impotenti. Eppure esistono degli anticorpi. Basta cercarli. Nella infinita varietà di prassi virtuose che attraversano la società, dalla esperienza di Riace (non per caso oggi criminalizzata) a quella del bar Hobbit di Ventimiglia.