Antonio Carbonelli è avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia. Tra le sue molte pubblicazioni: "Realismo critico, alternative possibili a materialismo teoretico, nichilismo etico e liberismo economico" (2019); "Rileggere l’economia. Storia e critica del pensiero economico da Platone a Piketty" (2020) e "Platone e Aristotele. Fondamenti del pensiero etico, politico, economico e giuridico nel terzo millennio" (2021).
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Le aziende si spostano dove sono attratte dal basso costo delle merci e del lavoro per poi ripetere altrove, quando vien meno la convenienza, la stessa operazione. Per prevenire il fenomeno basterebbe prevedere l’intervento dello Stato, tassare la reimportazione dei prodotti delocalizzati o seguire altre proposte che sono sul tappeto, ma partiti e sindacati sembrano non accorgersene.
Si riaffacciano i licenziamenti economici. Ma in cosa consiste il “motivo oggettivo” che li giustifica? Nel disegno costituzionale non ci sono dubbi: la giustificazione esiste solo se la diminuzione del profitto dovuta al costo del mantenimento in servizio del lavoratore incide gravemente sulla redditività dell’impresa.
Anche negli enti pubblici, nonostante i divieti legislativi dilaga il lavoro a termine. La previsione legislativa della non convertibilità automatica in contratti a tempo indeterminato indebolisce la tutela dei lavoratori, affidata solo al risarcimento dei danni e alla responsabilità patrimoniale dei funzionari responsabili. E anche i giudici non aiutano…