Loris Campetti è nato a Macerata nel 1948. Laureato in chimica, già nella seconda metà degli anni Settanta è passato al giornalismo. A “il manifesto” fino al 2012, ha ricoperto tutti i ruoli e si è occupato prevalentemente di lavoro e lotte operaie. Ha scritto molti libri di inchiesta e due mesi fa è stato pubblicato da Manni il suo primo romanzo, “L’arsenale di Svolte di Fiungo”.
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Prendere o lasciare, c’è la fila di altri disgraziati in attesa, devi scegliere tra lavoro e diritti. Uomini e donne, italiani e migranti, giovani al primo mese di lavoro e anziani che avrebbero dovuto già essere in pensione. Crescono i morti, del 49%, persino rispetto all’anno scorso, un anno con più di 1.200 caduti sul fronte del lavoro senza contare lavoratori al nero e medici e infermieri vittime del Covid.
La Federazione internazionale felina ha bandito da tutti i concorsi i gatti russi e a chi entra in un ristorante in quel di San Benedetto del Tronto può capitare di trovare nel menù un’insalata ucraina, con gli ingredienti di quella russa (rigorosamente esclusa). Se la situazione non fosse drammatica, ci sarebbe da ridere. Ma è da queste piccole cose che si capisce l’aria che tira nelle nostre democrazie.
A fronte della scellerata invasione dell’Ucraina, i media occidentali continuano a presentare Putin come un figlioccio di Stalin e dell’Urss. Non è così: i riferimenti del presidente russo stanno, a ben guardare, nella cultura imperiale zarista. La guerra è, in ogni caso un crimine, ma l’alterazione della verità e le bugie interessate viziano le analisi e l’individuazione delle prospettive.
Siamo in guerra. Inviare armi a un paese belligerante significa entrare a far parte dei paesi belligeranti. Eppure per aiutare gli ucraini oggi, come ieri altri popoli bombardati e in fuga, o bombardati mentre fuggono come i kosovari nel treno abbattuto dalle nostre armi intelligenti, servono politica, mediazione, diplomazia. Servono bende, ospedali, medicine, cibo, accoglienza. Non altre armi.
Serve ancora il sindacato, nel secondo decennio del terzo millennio dopo Cristo? Seconda domanda: chi rappresenta il sindacato nella stagione della globalizzazione neoliberista, quali figure sociali tutela e quali sono invece abbandonate allo strapotere del turbocapitalismo? Terza domanda: cosa è diventato il sindacato? Domande difficili, su cui un confronto è necessario e urgente.
Un nuovo romanzo di Pierluigi Sullo ci porta dal ’68-69 direttamente nel 1974, un anno contraddittorio e terribile, segnato da stragi, tentativi di golpe, derive terroristiche a sinistra, ma anche dal referendum sul divorzio, dal Vietnam, dalla rivoluzione dei garofani in Portogallo. E intanto una generazione cerca nuovi approdi.
In questi giorni gli operai hanno scioperato per chiedere che le loro fabbriche vengano chiuse, o comunque non riaperte. Strano no? E c’è, a sinistra, chi ne contesta comportamenti incoerenti con un diverso modello di sviluppo. Eppure l’altro mondo possibile non va costruito sulla testa dei lavoratori ma insieme a loro.