Marco Bersani, laureato in filosofia, è dirigente comunale dei servizi sociali e consulente psicopedagogico per cooperative sociali. Socio fondatore e coordinatore nazionale di Attac Italia, è stato fra i promotori del Forum italiano dei movimenti per l'acqua e della campagna “Stop Ttip Italia”.
Contenuti:
Nei prossimi anni potrebbe accadere che un Comune, per gestire in proprio un servizio pubblico, debba motivare le ragioni del mancato ricorso al mercato. È quanto prevede l’articolo 6 del disegno di legge concorrenza, ribaltando l’esito del referendum del giugno 2011. La mobilitazione sociale sembra avere momentaneamente bloccato la norma ma la partita è tuttora aperta.
Sono appena stati inaugurati in 28 scuole i licei sperimentali Ted (Transizione Ecologica e Digitale). La novità? Un consorzio di 100 grandi imprese, «che collaboreranno attivamente nell’ideazione e realizzazione dei programmi». L’azienda non si limita più a entrare nella scuola, ma la progetta e la realizza.
Il disegno di legge sulla concorrenza: un nuovo bastimento carico di privatizzazioni. Mentre i media mainstream dirottano l’attenzione (tassisti, stabilimenti balneari etc.) nessuno mette l’accento sulla sostanza del provvedimento: la privatizzazione dei servizi pubblici locali e la definitiva mutazione del ruolo dei Comuni.
Come costruire un’alternativa all’esistente? Uscendo dalla logica della riduzione del danno, costruendo e mettendo in comune esperienze e pratiche che sedimentino dentro ogni territorio suggestioni di una società diversa, il cui nucleo forte sia il prendersi cura. È un percorso inedito e non scontato ma possibile come si è dimostrato anche durante la pandemia.
«Voi G8, noi 6 miliardi»: lo slogan delle manifestazioni di Genova del luglio 2001 era intenso, realistico e, insieme, profetico. Quelle manifestazioni furono represse con una violenza inaudita e iniziò il declino del movimento. Ma quella stagione ribelle ha lasciato esperienza e indicazioni che consentono oggi di rimettersi in cammino.
C’era una volta la leggenda delle simpatie keynesiane del presidente Draghi. A disilludere chi ancora ci credeva è intervenuta da ultimo la nomina dei componenti del Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica: tutti di sicura fede liberista e convinti che lo Stato non debba esercitare alcun ruolo nell’economia.
In un anno di pandemia gli anziani sono stati falcidiati, i bambini e i ragazzi sono stati consegnati all’isolamento e al disagio, il numero dei poveri è cresciuto a dismisura. Il tutto colpevolizzando la scuola e i comportamenti individuali. Per non toccare i profitti delle imprese. Non è tempo di cambiare registro?
Il Recovery Plan approvato dal Governo è costruito sull’idea che la pandemia sia un incidente di percorso superato il quale il sistema riprenderà il proprio ordinario cammino. Non è così e, per questo, occorre mettere in campo una capacità critica e propositiva e una mobilitazione sociale capaci di costruire un’alternativa.
Contrariamente a quanto raccontano i media, il Recovery fund non è, per il nostro Paese, un grande affare. A cominciare dal fatto che, a fronte di 81,4 miliardi ricevuti “a fondo perduto”, l’Italia dovrà versare all’Europa una quota aggiuntiva di 96,3 miliardi rispetto ai contributi attuali. L’Europa non sembra proprio a Babbo Natale.
I termini dell’accordo su Autostrade diventano sempre più chiari. Molti hanno parlato di un “pareggio” in cui il Governo ha avuto una vittoria politica e i Benetton hanno limitato i danni. In realtà è un’operazione finanziaria, nella quale lo Stato investe una quota di ricchezza collettiva, senza alcun vantaggio per l’interesse generale.