Leonardo (Dino) Angelini, psicologo psicoterapeuta, ha studiato Sociologia a Trento e Gruppoanalisi presso la Sgai di Milano. Vive a Reggio Emilia, dove dal 1971 ha lavorato dapprima nel CIM di Jervis, e successivamente nell’Ausl occupandosi sempre di bambini, adolescenti, famiglie, pre-scuola e scuola. È stato responsabile del Consultorio Giovani dell’Ausl di Reggio Emilia.
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Ciò che rimane in Emilia della vecchia tradizione comunista è la propensione ad essere i più solerti applicatori degli input che vengono dal centro: con lo sforzo di rovesciare quanto precedentemente costruito. È un segno dei tempi il fatto che la ex-Emilia rossa, mondata di ogni legame con la propria tradizione, aspiri con Bonaccini alla guida del PD.
A partire della legge Treu le pubbliche amministrazioni hanno preso ad assumere precari e a patrocinare accordi con il privato, profit e no profit, cui sono state esternalizzate porzioni crescenti di welfare. Con gli effetti ben noti. Oggi una pioggia di denaro sta per arrivare su questo welfare aziendalistico e clientelare. Se non si volta pagina, non basteranno i soldi a migliorare la situazione.
Negli anni ’50 del secolo scorso i bambini, a 10-11 anni, venivano selezionati tra chi era ammesso alla scuola media, chi era destinato alla scuola professionale e chi era avviato precocemente al lavoro. Oggi, con la Carta di Genova sull’orientamento scolastico, si propone un ritorno a un’analoga selezione, differita alla fine dell’adolescenza e demandata direttamente alle aziende.
L’omicidio di Saman Abbas, verosimilmente uccisa da suoi familiari nelle campagne di Reggio Emilia, propone, a fianco della tragedia personale, una questione più generale e trascurata: la difficoltà degli immigrati di seconda generazione nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, stretti tra l’influenza di due diverse culture.
La maggioranza dei docenti tende a contrapporre la didattica in presenza a quella digitale. È naturale perché oggi conosciamo bene solo la prima. Ma, in prospettiva, dovremo riuscire a mettere a punto anche una didattica basata sulla “presenza in distanza”. Ci vorrà tempo ma è un obiettivo ineludibile, non solo nell’emergenza.
Il welfare costruito nel nostro Paese nei primi anni ’70 trasformò il sistema dei servizi e mise in primo piano il territorio, inteso come insieme di pratiche condivise. Il liberismo e le privatizzazioni degli ultimi decenni lo hanno smantellato. Oggi occorre ripensarlo e ricostruirlo su basi nuove. La pandemia può farci aprire gli occhi.
La psicologia è nata tardi in Italia. Ma gradualmente, dopo la legge 180, una schiera di psicologi aveva cominciato a operare utilmente, nel pubblico, in un lavoro di équipe con psichiatri e operatori critici. Oggi quella stagione sembra chiusa mentre fioriscono, nel privato, psicoterapeuti incapaci di un lavoro di gruppo.
Lo stato di clausura, cui il Coronavirus costringe bambini e adulti, rende ancora più centrale e “terapeutica” nella vita di noi tutti la possibilità di “giocare questo mondo” pericolosamente abitato dal virus; e di farlo lasciandosi avvincere dalle trame favolose e illusorie di fiabe e racconti. Sfidando la lugubre pesantezza cui ci obbliga il virus.
La legge elettorale lo permetteva e così, domenica, ho seguito contemporaneamente la testa e il cuore: con la prima ho contribuito a bloccare Salvini, con il secondo ho abbracciato (inutilmente) i compagni di sempre. Ma lo scarto tra gli ideali e gli attuali condottieri di una sedicente sinistra è tale che non potrò farlo ancora.
A voi che vi disperate perché il vostro voto rischia di non fare da tappo al dilagare del razzismo e del fascismo di Salvini. C’è un modo di moltiplicare il voto per due: in modo che da una parte votate là dove vi porta il cuore; dall’altra dove vi porta l’angoscia per l’arrivo di questa destra devastante. Si chiama voto disgiunto.