Piergiovanni Alleva, professore ordinario di diritto del lavoro, ha insegnato nelle università di Bologna e Ancona. È stato consigliere nell'Assemblea regionale dell'Emilia-Romagna.
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Secondo l’art. 36 Costituzione, il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità di lavoro prestato. Sulla carta, ché in concreto per molti lavoratori non è così. Uno strumento per dare attuazione alla Costituzione (e a un’apposita direttiva europea) è la previsione per legge di un salario minimo.
Il salario minimo legale è un istituto che riguarda la dignità del lavoro e che è presente in tutti i Paesi europei. Prima (sperabilmente) o poi sarà introdotto anche in Italia nonostante le opposizioni pretestuose di molti, tra i quali si annoverano i sindacati datoriali e, ahimé, anche quelli dei lavoratori.
Di fronte al reddito di cittadinanza molti si chiedono se non sarebbe meglio procurare un lavoro a chi non ce l’ha. Ma come fare se il lavoro non c’è? Semplice: utilizzare le risorse già stanziate per ridistribuire il lavoro “che già c’è” finanziando una riduzione dell’orario con corrispondenti nuove assunzioni.