Marco Aime, antropologo, giornalista e scrittore, insegna all’Università di Genova. Le sue ricerche spaziano dall’Africa occidentale (Benin e Mali) all’Asia e alla montagna, soprattutto nell’arco alpino.
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Inginocchiarsi contro il razzismo è un segnale importante. E, se è vero che il calcio è un grande fenomeno sociale, allora i calciatori devono avere coscienza dei segnali che lanciano con il loro comportamento. Non si tratta di imporre alcunché. Ma è sintomatico e preoccupante che i nostri campioni del pallone non colgano il senso di quel gesto.
La partita fantasma tra Juventus e Napoli avrà come esito la vittoria a tavolino dei bianconeri o una più equa soluzione di compromesso. Ma, comunque, lascia aperta una domanda: è possibile che nessun calciatore abbia sentito il dovere di dire che il Covid è una cosa seria e che le partite si giocano sul campo?
Negare l’omogeneità tra l’emigrazione italiana in Belgio negli anni Cinquanta e l’immigrazione di oggi in Italia è penoso. Soprattutto nell’anniversario dei 262 morti a Marcinelle “per miseria”, esattamente come i braccianti di Foggia.
Essere quello che non è l’altro. Chiudersi in quello che crediamo essere un “noi”, spesso più immaginato che reale. Questo fa nascere i confini.