Volerelaluna.it
05/09/2023 di: Francesca Marcellan
«Il film parla del prezzo da pagare per le conseguenze dei nostri successi». Così parlò Emily Blunt, che interpreta la moglie di Robert Oppenheimer, padre della bomba atomica, nel film omonimo di Christopher Nolan. E che la Blunt per “successo” intenda proprio la bomba, appare agghiacciante. Un errore dell’attrice? No, purtroppo non si sbaglia. Nel film, infatti, il problema principale del protagonista non sono i morti di Hiroshima e Nagasaki, non è aver reso possibile la morte in grande scala e, potenzialmente, la distruzione del genere umano. Quello che lo cruccia è invece l’irriconoscenza dei suoi concittadini e le invidie dei politicanti che vogliono ostacolarne la carriera, con la scusa che da giovane frequentava dei comunisti (è il periodo del maccartismo).
Com’è cattivo il mondo, signora mia. E infatti il film, per una buona parte, è costituito da due legal drama intrecciati in un vorticoso montaggio alternato e ripreso in bianco e nero. In uno assistiamo, nel 1954, all’interrogatorio di Oppenheimer da parte di una commissione d’inchiesta. È un procedimento-farsa per delegittimarlo ed estrometterlo dal suo ruolo nella Commissione per l’energia atomica, manovrato dal presidente della stessa Commissione e suo antagonista, Lewis Strauss. Nell’altro interrogatorio, che si svolge nel 1959, l’indagine stavolta riguarda Strauss e dovrebbe confermare la sua nomina all’importante carica governativa di Segretario al commercio, ma l’emergere del suo passato comportamento scorretto nei confronti di Oppenheimer gli farà perdere la nomina e ne chiuderà per sempre la carriera.
Le domande poste nei due processi fanno riemergere frammenti del passato, a colori, e ci permettono di ripercorrere la carriera di Oppenheimer, dagli anni di formazione, all’insegnamento universitario come fisico fino alla guida del progetto Manhattan, che portò appunto alla realizzazione della prima bomba atomica. Quest’ultimo ampio segmento è raccontato secondo gli stilemi dei caper movie (Ocean’s eleven o I soliti ignoti, per capirci): il reclutamento degli specialisti, il lavoro di preparazione, gli intoppi e infine il colpo, che può riuscire o meno. Qui riesce addirittura col botto, perché si tratta della prima esplosione atomica di prova, avvenuta il 16 luglio del 1945 nel deserto del New Mexico. La scena è girata come se fosse, appunto, un qualunque caper movie, con la suspense, il conto alla rovescia e poi l’esultanza di chi ha partecipato al progetto. Una scelta che la rende letteralmente oscena, perché questo tipo di racconto coinvolge emotivamente lo spettatore, che non può non simpatizzare almeno per un istante coi personaggi che ce l’hanno fatta (si spera almeno che subito dopo lo spettatore si guardi da fuori con orrore, perché qui non è in ballo la pasta e ceci o la cassaforte del casinò).
Nolan infila poi un minimo sindacale di scrupoli di coscienza, con qualche allucinazione espressionistica del protagonista e la frase «Ho l’impressione di avere le mani sporche di sangue», messa subito a tacere dal presidente degli Stati Uniti Truman che ribatte arrogantemente: «Le mani sporche sono solo le mie». Come a dire: voi scienziati fate il vostro lavoro tecnico senza farvi domande, che le decisioni tanto si prendono altrove. E ancora una volta, quindi, tutto è ridotto a un problema di rapporti di potere, non di etica. Ma Oppenheimer, da una parte assolto come rotellina dell’ingranaggio, quindi tramite una sua diminuzione, viene però anche esaltato, addirittura mitizzato da Nolan con la frase che appare tra i bagliori del fungo atomico all’inizio del film, come epigrafe: «Prometeo rubò il fuoco agli dei e lo diede agli uomini, per questo fu legato a una roccia e torturato per l’eternità» (anche se nel film la punizione viene solo dall’invidia dei suoi simili). Prometeo americano, come recita il titolo del libro dal quale è stato tratto il film.
Viene in mente, per opposizione, la vergogna prometeica di cui parla Gunther Anders (1902-1992), il filosofo che più di ogni altro ha dedicato il suo pensiero alla bomba atomica. Anders scrive che nel Novecento l’uomo, attraverso la tecnica, ha creato qualcosa di cui non è neppure capace di comprendere la portata, qualcosa di talmente enorme che egli può solo sentire di valere, ormai, meno delle cose che crea, che sono diventate signore della sua vita e della sua morte. L’uomo è antiquato, appunto, come nel titolo di un suo libro, e per questo il nuovo Prometeo si vergogna, essendo ormai obsoleto rispetto a ciò che ha creato. Ma, per sua fortuna, l’Oppenheimer di Nolan non ha letto Anders, e può restare un Prometeo scandalosamente senza vergogna.