Billy ti presento Amanda. Giovane cinema italiano che “vuo’ fa’ l’americano”

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Billy e Amanda sono due ventenni senza amici, senza padre (o con padre assente) e senza lavoro, ma solo quest’ultima mancanza non sembra costituire affatto un problema. Il più solido punto di riferimento familiare è la cameriera filippina. Vivono in Italia ma potrebbero essere ovunque, però un ovunque fotografato da Luigi Ghirri, dipinto da Edward Hopper e ripreso da Wes Anderson. Se Billy e Amanda fossero nello stesso film si innamorerebbero sicuramente, avendo così tante cose in comune. Ma Billy (2023) e Amanda (2022) sono due film diversi, diversi ma uguali: quasi senza trama, nei quali anche invertendo l’ordine del montaggio il risultato poco cambia. Come i protagonisti, anche le registe, entrambe all’opera prima, sono giovani: Carolina Cavalli (Amanda) ha 30 anni; Emilia Mazzacurati (Billy) 28. Entrambe hanno fatto tutto da sé: soggetto, sceneggiatura, regia. Il rischio è quello dell’autoreferenzialità, forse perfino voluta se la cittadina in cui è ambientato Billy si chiama Imelia, anagramma del nome della regista, a sottolineare che sullo schermo vediamo un paesaggio interiore e che lo sguardo forse non si posa su nulla di reale ed esterno da sé.

Tra i due film, è Amanda il più riuscito. Prima di tutto perché si basa almeno su una idea chiara, cioè raccontare gli sforzi ostinati e maldestri di una ragazza per imparare la grammatica dei rapporti umani che nessuno le ha mai insegnato nella sua benestante ma gelida famiglia. Inoltre Amanda è sostenuto da un maggiore impegno produttivo, che si vede tutto, e ha anche dalla sua un’attrice protagonista indovinata (Benedetta Porcaroli), che riesce a rendere credibile un personaggio fumettistico, una Pippi Calzelunghe cresciuta, come la descrive la stessa Cavalli.

Billy, invece, elude continuamente il tema che la prima scena sembra preannunciare come centrale, ossia la scomparsa del padre. Abbandona subito questa linea narrativa per spostarsi sul personaggio svagato della madre, una strepitosa Carla Signoris che tiene letteralmente in piedi il film. Si perde in personaggi collaterali appena abbozzati, alcuni puri pretesti per ambientazioni visivamente suggestive, come la ragazza che gestisce un camper-bar lungo la ferrovia. Ripropone poi il tema del padre attraverso un suo doppio che appare dal nulla e nel nulla scomparirà, il rocker imbolsito Alessandro Gassmann, al quale tocca pronunciare la frase «Ci vuole più coraggio a restare che a partire», ideale aggiornamento di «È la normalità la vera rivoluzione» de L’ultimo Bacio (Muccino, non Perugina, anche se sembrerebbe…). Su tutto il film aleggia poi un’impressione di già visto, come se dietro ci fosse troppo cinema e poca vita, e purtroppo il tutto, oltre ad essere di seconda mano, non è sostenuto né da una scrittura né da un budget produttivo adeguati alle ambizioni: non puoi fare Hollywood (e soprattutto Wes Anderson) con i fichi secchi.

Ma, indipendentemente dalla loro diversa riuscita, Billy e Amanda, ci dicono qualcosa di una generazione, o meglio di una parte di essa, colta, educata, discretamente benestante: un immaginario cinematografico saldamente americano che diventa, molto più della realtà, il filtro per raccontare la solitudine, la crisi della famiglia e l’abdicazione degli adulti al loro ruolo. Il lavoro è assente, anzi l’unico rappresentato è in entrambi i film quello del farmacista, forse perché il solo genere di sostentamento indispensabile sembrano essere, per alcuni dei personaggi, le benzodiazepine. Il reale sbiadisce anche nei luoghi, non più riconoscibili e che sembrano scelti soprattutto per il loro grado di “fotografabilità”, e nella lingua, con la scomparsa sia del dialetto che delle inflessioni regionali dell’italiano, tratti che dal secondo dopoguerra erano sempre stati caratteristici del nostro cinema. In quest’aria così rarefatta, non ci si stupisce che fatichino a vivere i poveri Billy e Amanda, senza neppure la consolazione di poter stare almeno insieme nello stesso film.

Gli autori

Francesca Marcellan

Francesca Marcellan vive a Padova, lavora presso il Ministero della Cultura e scrive di arte, soprattutto nei suoi aspetti iconologici. Sulla scorta di Morando Morandini, va al cinema "per essere invasa dai film, non per evadere grazie ai film". E quando queste invasioni sono particolarmente proficue, le condivide scrivendone.

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