Helmut Berger e Visconti, ovvero la diva e il pigmalione

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Il cinema italiano non ha mai avuto un vero e proprio star-system. Anche le nostre dive internazionali sono nate un po’ per caso, sull’onda di un film indovinato. Perfino Sophia Loren è un prodotto su cui il produttore (e futuro marito) Carlo Ponti ha deciso di investire solo dopo aver visto che funzionava. Solo Franco Cristaldi, il produttore della Vides, scelse di seguire il modello hollywoodiano, mettendo sotto contratto pluriennale molti giovani attori sui quali investire e da dirigere e controllare in ogni aspetto della loro vita; l’operazione gli riuscì splendidamente almeno in un caso, con Claudia Cardinale, grazie anche alla fondamentale complicità artistica di Luchino Visconti, che ne fece la diva internazionale del Gattopardo (1963).

E non è proprio un caso che tra i nostri registi sia stato proprio Visconti l’unico vero e intenzionale costruttore di star. Una volta paragonò gli attori a cavalli di razza «nervosi, sensibili, che a volte hanno bisogno di moine, altre di essere trattati rudemente». Un paragone che non si capisce se non si tiene presente che negli anni ’30 Visconti, allora solo un giovane aristocratico milanese, comprò una scuderia di cavalli da corsa, ci si dedicò anima e corpo e vinse anche importanti premi con un cavallo, Sanzio, che non si credeva potesse mai diventare un campione. Raccontava il suo allenatore: «Sanzio era un po’ debole sui posteriori, ma a poco a poco, con molto esercizio e un’infinità di cure, riuscimmo a correggerne la struttura. Sanzio fu una creazione della volontà del conte Luchino». E lui stesso disse: «quello che ho imparato coi cavalli, lo applico adesso con gli attori».

L’efficacia del metodo è riconosciuta da Adriana Asti: «Luchino sapeva sfruttare come nessun altro regista tutte le doti che un attore poteva offrirgli, e senza che quello nemmeno se ne rendesse conto. Sarebbe stato capace di trarre il meglio anche da una pietra». E come da giovane si era intestardito per trasformare un cavallo qualunque in un campione, così si comportò anche dopo, scegliendo molti attori esclusivamente per la loro bellezza e dimostrando che, solo grazie al suo talento demiurgico, poteva portarli a recitare al livello che il suo perfezionismo esigeva. Prese così, e impose ai produttori, Renato Salvatori, che allora era solo un “povero ma bello” e Alain Delon, con pochissimi ruoli alle spalle prima di Rocco e i suoi fratelli (1960); reinventò Romy Schneider in una donna e un’attrice sofisticata, dopo la zuccherosa serie di Sissi.

Ma il suo capolavoro, la vera e propria creazione di un divo dal nulla, fu Helmuth Berger. Innumerevoli le versioni di come si siano conosciuti; in tutte comunque il futuro attore è un ventenne completamente anonimo, studente o maestro di sci o altro ancora, a sentire la Asti: «Visconti lo conobbe proprio a Ischia. La leggenda narra che a presentarglielo sia stato un pellicciaio che doveva sdebitarsi con lui … Luchino se ne innamorò». E così Visconti replicò quello che Josef von Stenberg aveva fatto con Marlene Dietrich (fra l’altro carissima amica di Luchino) e Mauritz Stiller con Greta Garbo: il regista che inventa una diva. Uso la parola al femminile perché la prima apparizione di Berger nel cinema di Visconti è proprio nei panni di una sinistra parodia della Dietrich dall’Angelo azzurro, in La caduta degli Dei (1969). Visconti seguì poi con attenzione la carriera di Berger, vagliando la sua partecipazione a film di altri registi. Ma la vera apoteosi di questa creazione divistica fu il film kolossal Ludwig (1973), nel quale Helmut Berger è quasi ininterrottamente in scena per più di 4 ore. Al tempo stesso la parabola di disfacimento e di morte che racconta sembra un presagio del destino di entrambi, creatore e creatura. Il regista, colpito da un ictus poco dopo la fine delle riprese, restò pesantemente menomato e morì tre anni dopo; l’attore, invece, seguì la drammatica china di tante dive hollywoodiane, costruite a tavolino senza che spesso fossero psicologicamente in grado di reggere il loro personaggio: alcol, droghe, scandali e autodistruzione. E lo stesso Visconti fece in tempo a rendersi conto che aveva creduto di creare una Dietrich, quando aveva fra le mani un bambino spaurito come Marilyn Monroe.

Nota

Le citazioni sono tratte da Gaia Servadio, Luchino Visconti (Mondadori, 1980) e Adriana Asti, Un futuro infinito. Piccola autobiografia (Mondadori, 2017)

Gli autori

Francesca Marcellan

Francesca Marcellan vive a Padova, lavora presso il Ministero della Cultura e scrive di arte, soprattutto nei suoi aspetti iconologici. Sulla scorta di Morando Morandini, va al cinema "per essere invasa dai film, non per evadere grazie ai film". E quando queste invasioni sono particolarmente proficue, le condivide scrivendone.

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