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14/11/2022 di: Francesca Marcellan
Nel secondo dopoguerra c’erano a Padova una quarantina di cinema, molti dei quali aperti già negli anni Venti. Fino a un mese fa ne erano rimasti solo sette, ma ora ha chiuso l’ultimo cinema rimasto in centro città, nei pressi del Duomo, la Multisala Pio X. Non è ovviamente un caso isolato: ne stanno chiudendo in questi mesi in tutta Italia. Le scelte punitive verso questo settore prese dal governo per contrastare la pandemia, l’uso diventato abituale e capillare della visione casalinga in streaming durante i lockdown e ora anche il caro-bollette hanno portato a compimento un processo che ha radici lontane e che nasce alla metà degli anni Cinquanta con la diffusione della TV, l’eterna rivale del cinema.
Già nel 1956 i cinema italiani persero 29 milioni di presenze, dopo aver raggiunto nel 1955 il record assoluto di 819 milioni di biglietti venduti su 48 milioni di abitanti. Il cinema allora reagì puntando su ciò che più lo differenziava dal nuovo medium e riempì il suo grande schermo di grandi spettacoli: è il periodo dei cosiddetti Kolossal sul Tevere e dei “colossi d’autore” come La dolce vita (1960) e Il Gattopardo (1963), campioni d’incasso. Nasce anche il filone dei film (dapprima blandamente) erotici, visto che invece in Rai vigevano le rigidissime “Norme di autodisciplina per le trasmissioni televisive” stilate da monsignor Albino Galletto, cappellano dell’azienda. Apre la strada Europa di Notte (1959) di Alessandro Blasetti, che sotto la forma documentaristica riesce a far passare in censura l’inosabile. Però, nonostante le strategie messe in atto, a Padova si contano quattro chiusure già all’inizio degli anni Sessanta: Ariston, Bellini, Italia e soprattutto il cinema-teatro Garibaldi, un gioiello ottocentesco in posizione centralissima di fronte allo storico Caffè Pedrocchi, demolito nel 1963 per costruire un supermercato (non esistevano ancora le famigerate Soprintendenze a bloccare i lavori…). Il supermercato, comunque, è ancora lì dal ’63 e non conosce crisi.
La lotta con la TV restò comunque per lungo tempo vittoriosa, grazie anche alla grande stagione della commedia all’italiana, con la quale tanti registi italiani sapevano ancora parlare a un pubblico ampio; ma progressivamente negli anni Settanta/Ottanta questa sintonia venne perduta, in un periodo di crisi generale del nostro cinema che sarebbe troppo lungo analizzare qui. A questo si accompagnò la miope scelta degli esercenti delle sale di compensare l’emorragia di spettatori con l’aumento del prezzo del biglietto, soluzione forse efficace nell’immediato, ma suicida sul lungo periodo. Così a Padova tra il 1975 e il 1990 chiusero 18 cinema (particolarmente dolorosa la demolizione del cinema-varietà Corso, edificio Liberty del 1913, sostituito da una banca), mentre un paio, per sopravvivere, si trasformarono in cinema a luci rosse. Di quelli che restarono, pochi ebbero una politica lungimirante, sia nella programmazione dei film, sia investendo per migliorare la qualità della visione e il comfort delle sale; tra questi pochi l’Astra, che infatti non solo è ancora vivo, ma si è moltiplicato aprendo anche il Porto Astra nel 2004. All’inizio degli anni 2000 ci fu poi un’ulteriore ondata di chiusure, causata dall’apertura dei primi multiplex fuori città su modello americano, con parcheggi e montagne di pop-corn a disposizione, grandi centri commerciali di spaccio cinematografico, soprattutto hollywoodiano. Il Cineplex Dream Park già nel suo nome annuncia un mondo lontano anni luce dai vecchi cinema padovani con nomi spesso latini, presi dal mito o dalla storia, progettati da grandi architetti come Giulio Brunetta e Quirino De Giorgio. Il colpo di grazia, come detto all’inizio, lo hanno dato le vicende degli ultimi due anni, che hanno affondato non solo un cinema d’essai come la Multisala Pio X, ma perfino il già citato Cineplex.
Oggi resistono a Padova solo quattro cinema (più due cinema-teatro) ma nessuno nel centro storico. Scoprire da cosa siano stati sostituiti ci dice molto delle nostre città: supermercati, banche, bar e ristoranti, negozi, palestre, discoteche e sale bingo. Alcuni restano semplicemente chiusi e vanno lentamente in rovina, relitti malinconici di un’altra epoca. Altri ancora si sono riciclati affittando le loro sale all’Università, sempre a caccia di spazi. Non è quindi, solo un problema del (e dei) cinema, è anche un problema dei centri cittadini, che ormai hanno una vita turistica, con musei e monumenti, ma alla cittadinanza non offrono quasi più spazi di socialità e cultura, ma solo negozi, bar e ristoranti, luoghi in cui recarsi da consumatori di merci anziché da fruitori di esperienze condivise e, soprattutto, non più partecipi di un rito collettivo com’era il cinema.
Cosa succederà tra altri vent’anni? Chiuderanno anche queste sale o si è ormai raggiunto il limite fisiologico tarato sul ristretto pubblico dei cinefili? Qualunque cosa ci riservi il futuro, bisogna finalmente prendere atto che per la stragrande maggioranza delle persone il luogo naturale del consumo di immagini sono ormai i dispositivi personali (pc, tablet, smartphone) e che se la storia commerciale delle sale va verso la sua fine, dovrebbe cominciare un’altra storia, quella della conservazione e dell’educazione alla fruizione degli audiovisivi, nei quali siamo tutti immersi ma alla quale nessuno viene preparato dalla scuola. In questo senso, qualcosa nel Ministero dell’Istruzione e in quello della Cultura si è mosso (https://cinemaperlascuola.istruzione.it/), ma lasciandolo esclusivamente alla libera scelta dei docenti delle materie già esistenti o a esperti convocati per singoli progetti. Non si parla ancora di introdurre una materia specifica nei curricula scolastici e insegnata da chi abbia una formazione specifica. Per quanto riguarda poi la conservazione e la valorizzazione, In Italia c’è un grande esempio da seguire, quello della Cineteca di Bologna. Come esiste almeno una biblioteca in tutte le città d’Italia, dovrebbe esserci anche una cineteca, dove continuare a vedere in sala i film nati per il grande schermo. Un dovere pubblico sancito dall’articolo 9 della Costituzione, perché anche il cinema italiano è un patrimonio da tutelare, che definisce la nostra identità di cittadini tanto quanto i beni artistici e archeologici conservati nei musei.