A proposito del suo ultimo film, House of Gucci, Ridley Scott ha dichiarato: «La storia dei Gucci riecheggia quella dei Borgia o dei Medici: si uccidevano l’uno con l’altro per affermarsi. Amore, passione, odio… sono i motori del mondo secolo dopo secolo. Non è cambiato nulla».
Basta adottare questa chiave di lettura per spazzare via in un solo colpo tutte le accuse di scarsa aderenza alla realtà dei fatti e dei personaggi che sono state fatte al film, sia da parte della critica che dalla stessa famiglia Gucci. Non vuole infatti essere un film realistico, ma piuttosto una tragedia elisabettiana. Si va al cinema pensando di assistere a un giallo giudiziario (il delitto Gucci), e ci si trova di fronte a un melodramma il cui vero tema è l’ambizione e la lotta per i soldi e il potere. E, proprio come nel Macbeth, a far succedere le cose, a mettere in moto il meccanismo che sfocerà nella rovina della famiglia e in un omicidio, è una donna, Patrizia Reggiani (Lady Gaga). La sua entrata in scena, una camminata su tacchi altissimi in un vestitino strizzatissimo, tra fischi e apprezzamenti maschili, mette subito in evidenza quel magnetismo sessuale che, secondo Orson Welles, era indispensabile per interpretare Lady Macbeth (e infatti, per il suo Macbeth, Welles avrebbe voluto Vivien Leigh).
Una volta conosciuto Maurizio Gucci (Adam Driver), la sorte dell’uomo è segnata: Patrizia ha deciso fin da subito non solo di sposarselo, ma anche di trasformare in un uomo ambizioso il suo insignificante marito. In questo senso, la donna svolge anche la funzione delle tre streghe del dramma shakespeariano, ed è a sua volta, infatti, consigliata da una maga, Pina (Salma Hayek). Le profezie delle streghe e della maga, in Shakespeare come in Scott, sono più che altro un modo di suggerire e autorizzare desideri che non si osavano ancora formulare apertamente, come quello di diventare re e regina di Scozia o padroni assoluti della Gucci. E quando qualcosa è predetto, e quindi detto come possibile, ci si sente autorizzati anche a commettere reati e a tradire per ottenerlo, perché è il destino stesso a volerlo. Inizia così la guerra fratricida fra Maurizio, Aldo e Paolo Gucci. Ma, a un certo punto, questa lotta per il potere distrugge anche la coppia formata da Patrizia e Maurizio, quando quest’ultimo, stanco di essere un burattino nelle mani della moglie, pensa di poter fare da sé e lei invece non accetta di essere messa all’angolo, ritenendosi non solo la maggiore artefice dell’ascesa del marito, ma addirittura “più Gucci dei Gucci”. Così l’omicidio, che arriva giusto alla fine del film, sembra la naturale conclusione di una storia langer than life, che non poteva finire con un banalissimo divorzio multimiliardario, vista la statura tragica dei personaggi. Anzi, più esattamente, del personaggio, visto che è la Patrizia di Lady Gaga a dominare il film, tanto da farne una sorta di versione malvagia di Thelma e Louise, uno dei maggiori successi del regista: lo spettatore non empatizza mai con la protagonista, ma non può non percepirne la forza e la determinazione. Grazie a queste qualità, Ridley Scott la fa giganteggiare tra un contorno di personaggi mediocri quando non addirittura stupidi, come il Paolo Gucci di Jared Leto. Criticato come sopra le righe ed eccessivamente ridicolo, è invece un perfetto fool shakesperiano, che inconsapevolmente dà uno snodo fatale alla storia, senza per altro capirne niente.
Infine va segnalata una cosa: un film che aveva tutte le carte in regola per essere un enorme marchettone della casa di mode Gucci, viva vegeta e fatturante (anche se per una multinazionale del lusso e non più per la famiglia che le ha dato il nome), è stato trattato con indifferenza o ironia dai suoi stilisti. Tom Ford, l’uomo che l’ha rilanciata negli anni Novanta, ha definito House of Gucci «una soap opera patinata e pesantemente laccata». Alessandro Michele, stilista in carica, ha precisato di non aver visto il film e che la Gucci non è stata coinvolta nel progetto, ma ha solo messo a disposizione i suoi archivi. Piccoli indizi che ci dicono cosa il film, fortunatamente, non è, infestati come siamo dalla moda di santificare la moda e la sua industria, paladina di tutti i temi più politicamente corretti. Santificazione alla quale Ridley Scott si sottrae esplicitamente, satireggiandola con una battuta pronunciata da Patrizia mentre si fa il segno della croce: «Nel nome del Padre, del Figlio e della Famiglia Gucci».
A fronte di ogni critica questo articolo mi ha fatto tornare la voglia di visionare il film!