Regia: Bong Joon-ho
Sceneggiatura: Park Eun-kyo, Bong Jonn-ho
Cast: Kim Hye-ha, Won Bin, Jin Ku, Jeon Mi-seon
Fotografia: Hong Kyung-pyo
Montaggio: Moon Sae-kyung
Musiche: Lee Byung-woo
Corea Del Sud, 2009, drammatico/thriller, 128 minuti
Negli ultimi tempi frequente è la distribuzione in sala di importanti film di protagonisti della storia recente del cinema dell’oriente asiatico, talvolta già ampiamente conosciuti e talaltra mai distribuiti o distribuiti alla chetichella. È come se queste riedizioni fossero tasselli di un lavoro di divulgazione e di scoperta/riscoperta di autori, filoni e cinematografie la cui conoscenza diffusa è stata spesso parziale o limitata a cinefili e addetti ai lavori.
Recentissimo è stato, per esempio, il viaggio nella filmografia del cinese, hongkonghiano d’adozione, Wong Kar-wai, sia col suo capolavoro In the mood for love, sia con le meno diffuse opere da lui precedentemente realizzate (Hong Kong Express, per molti, compreso chi scrive, uno dei film fondamentali degli anni Novanta), mentre è ancora nelle sale la versione restaurata di Oldboy (2003) del coreano Park Chan-wok, violenta grande riflessione sulla vendetta. Andando ancora più indietro, è di pochi anni fa il ritorno in sala di alcuni grandi film di uno dei padri del cinema moderno, il giapponese Yasujiro Ozu.
Il coreano Bong Joon-ho è entrato nella storia del cinema nel 2019 con Parasite, non solo né tanto per il valore del film – certamente buono, ma non così trascendentale –, quanto per la vittoria del Premio Oscar, per la prima volta andato nelle mani di un regista non anglofono. Pochi mesi dopo la statuetta alzata, di Joon-ho venne distribuito nelle sale italiane il poliziesco del 2003 Memories of murder, mirabile descrizione di un’indagine che mette in crisi certezze, visioni e letture della società. Un’indagine è in qualche modo al centro anche di Madre, film che Joon-ho realizzò nel 2009 e che dal primo luglio è possibile vedere nelle nostre sale.
L’indagine e la risposta alla domanda se il figlio fosse stato veramente l’assassino, a cui il regista risponde con l’ambiguità di certezze apparenti e di dubbi vischiosi parallela alle riletture e alle visioni interiori della madre, diventano quasi strumentali e lasciano spazio all’immersione nella psicologia e nella interiorità della donna protagonista, alla prevalenza del suo istinto materno che rende labile la percezione e i confini tra bene e male, affetto e lucidità, emozioni e consapevolezza, giustizia e sopravvivenza emotiva.
Se l’atteggiamento della protagonista potrebbe sembrare, a una prima lettura, all’insegna del familismo puro e monodimensionale che fa chiudere gli occhi sulla realtà nel suo complesso, all’ambiguità di fondo partecipa anche la rappresentazione del contesto; detective, avvocati e giudici disinteressati e superficiali, o – il caso dell’avvocato – interessati soprattutto al censo, e una comunità che in relazione al fatto diventa sempre più bieca ed egoista, in qualche modo altrettanto cieca sull’evento. Se la madre protagonista è raccontata con complessità e pure con una certa partecipazione – le efficaci sequenze di danza solitaria che aprono e chiudono il film –, il ritratto collettivo è a tinte assolutamente disincantate. Bong Joon-ho anche in questo film parte da ritratti di condizioni private per colpire condizioni più collettive, riflettendo innanzitutto sulla fallibilità della percezione del reale; fallibile era l’indagine poliziesca del film precedente e fallibili saranno le apparenze e le recite sociali della commedia nera Parasite.
Madre è quindi in qualche modo un film in cui l’intenso ritratto psicologico e la centralità dei pensieri, dei desideri, dei sentimenti e della tenacia della donna connotano la narrazione di ambiguità, facendo sfumare i confini tra vero e percepito, tra oggettivo e desiderato e tra bene e male. Tutto questo nella cornice di una narrazione robusta e coinvolgente, e di uno stile che guarda anche ad esempi – ancora una volta come nel precedente Memories of murder – occidentali e d’oltreoceano.
Bong Joon-ho raggiunge con questo film di grande densità e di grande coinvolgimento probabilmente il miglior punto di equilibrio del suo cinema, tutto giocato sulla simmetria tra la rilettura di generi, anche d’esportazione – significativo da questo punto di vista sarà nel 2012 la distopica produzione internazionale Snowpiercer –, e un approccio che nell’immediato vuole essere coinvolgente e accattivante, e la densità di sfumature, chiavi di lettura, percezioni e significati che emergono più o meno tra le righe.
A rendere Madre probabilmente il miglior film del regista coreano è decisiva la grande prova della protagonista Kim Hye-ya.