Dal 20 al 28 novembre si svolge la 38ª edizione del Torino Film Festival, uno degli appuntamenti più importanti nel panorama culturale torinese, che ha fatto gioco forza con questo periodo di forzata immaterialità e si svolgerà sulla piattaforma online Mymovies, già ospite di altri importanti manifestazioni come il fiorentino “Festival dei popoli”.
Per iniziare con qualche informazione logistica, al link https://www.mymovies.it/cinemanews/2020/172249/ si possono trovare i dettagli pratici; i film rimarranno a disposizione per 48 ore dalla prima “proiezione”; un singolo film costa 3 euro e 50 centesimi, il carnet di 10 opere 30 euro e l’abbonamento complessivo che permette l’accesso a tutte le visioni 49 euro.
La 38ª edizione del Festival è diretta da Stefano Francia di Celle, il quale subentra a Emanuela Martini. Per il torinese Francia di Celle, che già aveva collaborato al TFF dal 2003 al 2010, è un ritorno. A lui il compito di dare nuova linfa a una manifestazione che negli ultimi anni pareva un po’ bloccata e adagiata su schemi e tipi di cinema prediletti (il cinema indipendente statunitense, la riflessione sui generi, l’horror) e complessivamente meno stimolante e curiosa rispetto a pochi anni prima. Quest’anno, dati i problemi contingenti, sarà peraltro difficile giudicare i risultati di un nuovo corso. In attesa di far parlare i film, accontentiamoci del non così banale traguardo dello svolgimento del festival, sperando che l’inevitabilmente limitante e un po’ malinconica versione online sia non solo momentanea, ma anche il preludio a una convivenza in cui il piacere della visione in sala e collettiva sia accompagnata dalla possibilità dell’online di far conoscere i film – che, ricordiamolo, molto spesso sono difficilmente visibili al di fuori dei festival – a un pubblico non fisicamente presente.
La selezione ufficiale del concorso rimane fedele alla missione di far conoscere registi giovani, al massimo al loro terzo film. L’impressione, scorrendo le sinossi delle opere selezionate (che potrà ovviamente essere smentita) è che sia venuta meno la varietà dei generi cinematografici che aveva caratterizzato i primi concorsi dell’era Martini, a favore di una maggiore attenzione al realismo e ai “temi”. Da segnalare la presenza del nigeriano Eyemofe di Arie e Chuku Esire, che punta il lumicino sull’industria cinematografica di Lagos, tra le più fiorenti a livello globale.
Il fuori concorso pare riassumere in qualche modo alcune sezioni del recente passato. I film di maggiore richiamo per il pubblico o di registi noti – c’è per esempio il restauro di In the mood for love (2000) di Wong Kar Way, uno dei capolavori di questo inizio millennio, o il ritorno di Antonio Capuano con Il buco in testa, o ancora Billie di James Erskine, biografia di Billie Holiday e Calibro 9 di Tony D’Angelo, remake di Milano Calibro 9 di Fernando Di Leo – convivono con opere di maggiore ricerca che, sempre sulla carta, ricordano la sezione “Onde”, dedicata alle sperimentazioni e ai nuovi sguardi – il filippino Cleaners di Glenn Barit è, per esempio, presentato come film d’animazione in stop motion ottenuta colorando migliaia di fotografie che raccontano l’infanzia nell’arcipelago asiatico.
Gli sguardi originali e più fuori norma (per durata, formato e parentele con la videoarte) e quelli più propensi a scavare negli abissi dell’uomo sono la premessa anche della nuova sezione “Le stanze di Rol”, dedicata al celebre sensitivo e visionario torinese Gustavo Adolfo Rol e incentrata sulle frontiere più originali dei generi cinematografici, in particolare delle varie sfumature dell’horror; in qualche modo, questa sezione pare essere l’erede della ruspante “Afterhours”.
Non manca, selezionata da Davide Oberto, una ricca offerta di documentari, piemontesi, nazionali e internazionali, in concorso e fuori concorso, lunghi e brevi; da segnalare una selezione (TFFDOC/paesaggio) incentrata sulla rappresentazione del “paesaggio” e sui vari significati e variegate sfumature che questo può assumere.
Infine, “Back to life”, una retrospettiva quest’anno non legata a un preciso genere o filone, ma incentrata sulla scoperta o la riscoperta di film rari e poco conosciuti, accompagnati dal restauro di classici più celebri come Il federale (1961) di Luciano Salce e Avere 20 anni (1978) di Fernando Di Leo; da segnalare tra le varie curiosità di queste riscoperte, Il nero (1967) di Giovanni Vento, uno dei primi film italiani sul razzismo, e Iulskiy Dohzd (1967) di Marlen Khutsiev, esempio di nouvelle vague russa e di malessere giovanile nell’epoca di Breznev.
Per quanto riguarda il rapporto col territorio, 1974-1977. Le nostre ferite di Monica Repetto racconta con immagini di repertorio i protagonisti e le vicende della lotta armata a Torino.