REGIA: Ginevra Elkann
CAST: Oro De Commarque, Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher, Milo Roussel, Ettore Giustiniani, Céline Sallette, Brett Gelman
SCENEGGIATURA: Chiara Barzini, Ginevra Elkann
FOTOGRAFIA: Vladan Radovic
MONTAGGIO: Desideria Rayner
MUSICHE: Riccardo Sinigallia
Italia, drammatico, 96 minuti
Già assistente alla regia di Bernardo Bertolucci ne L’assedio, produttrice, distributrice – sua è la Good Films – e autrice di un cortometraggio, Ginevra Elkann esordisce con Magari, distribuito sulla piattaforma Raiplay e film inaugurale dell’edizione 2019 del Festival del Cinema di Locarno.
Magari è una delicata rielaborazione autobiografica, raccontata, talvolta al limite del fantastico, che esprime speranze, illusioni e desideri, dal punto di vista della preadolescente Alma. La ragazzina, insieme ai fratelli Sebastiano e Jean di pochi anni più grandi, lascia la madre incinta e il patrigno per trascorrere le vacanze di Natale con il padre, sceneggiatore un po’ scapestrato, distratto e assente. I quattro trascorreranno, con la compagnia della sceneggiatrice Benedetta, due settimane in una villa in riva al mare nei pressi del Circeo. Come nel più classico dei quadretti famigliari che rispolverano il passato a metà strada tra nostalgia, amarezza e rielaborazione, verranno al pettine nodi, in un continuo susseguirsi di allontanamenti e avvicinamenti, affetti e distanze, inedite comprensioni, scontri risolutivi, scoperte e coming of age. Tutto sotto l’occhio di Alma, la quale continua a sperare che il padre e la madre possano tornare insieme e a guardare la realtà con gli occhi della speranza.
Dato che è forse inevitabile pensare alla Spagna anche se si parla di Francia, specifichiamo che l’esordio alla regia della Elkann rimane assolutamente ancorato all’intimo, al ricordo e all’elegia. Riconoscibili certamente sono i personaggi e certi riferimenti, ma Magari non è un film che vuole indagare e raccontare retroscena, o dare chiavi di lettura che vadano oltre la soggettività della regista e la cronaca di una sorta di coming of age famigliare. L’unico animale presente è un cane bassotto; non ci sono né lupi né agnelli.
Semmai, inedita per un film, e soprattutto per un esordio, è stata l’attenzione data dalla grande stampa e dai tre quotidiani che la rappresentano, con anche prime pagine che, solitamente, pure registi già affermati vedono col binocolo, a meno che non abbiano vinto premi. Allo stesso modo, l’altra faccia della medaglia, cioè il livore aprioristico e l’invito a un boicottaggio critico, nasce dalla stessa questione a cui potremmo arrivare ponendoci una domanda, soprattutto a Torino, probabilmente retorica.
Magari non è quel film definito straordinario da alcuni su certi giornali, ma ancor meno è l’inutile e indifendibile prodotto della noia di una rampolla. Come scritto nelle prime righe, la Elkann del resto ha già un certo curriculum nel campo, e la genuflessione di certe pagine rischia di essere dannosa per la ricezione dell’opera stessa. Magari è un buon film che agisce nel campo del già visto e del già sentito. Quasi per nulla innovativo, si distingue per una certa efficace delicatezza, per il tono elegiaco, malinconico ma non troppo, e per un’innegabile cura visiva ed estetica. Anche questo punto forse è poco personale, ma raffinatezze non mancano: per fare un esempio, l’inquadratura angolare dall’alto che riprende la tavola silenziosa nel momento in cui i tre ragazzi sembrano abbandonati dal padre a casa dei nonni; dettaglio che sottolinea la solitudine del momento e le loro delusioni. Funziona, per esempio, la fotografia di Vladan Radovic estremamente nitida, che spesso conferisce al film l’atmosfera dell’irrealtà quasi onirica della rielaborazione dei ricordi e delle speranze di allora. Si veda la consistenza di malinconica “madeleine proustiana” e di serenità, anche nelle vicende meno piacevoli, perduta data dalle atmosfere del mare d’inverno.
I momenti in cui è più evidente questa sensazione di realtà mediata dall’interiorità della ragazzina sono anche i migliori del film, il suo punto di forza. Dove invece rischia di perdersi e inclinarsi maggiormente verso il versante dell’ovvietà è quando si allontana dal punto di vista di Alma e diventa più cronachistico, come, per esempio, nella fuga romana di Sebastiano e Benedetta.
Certamente di davvero nuovo c’è quasi nulla che non abbiamo già trovato in film nostrani dal soggetto simile, a partire dai dettagli quali le cantate collettive in macchina, ma Magari, concludendo, funziona pur senza far strappare le vesti, anche spiccando nel panorama dei film suoi “fratelli” (tipo Le villeggianti di Valeria Bruni Tedeschi o, per uscire dalle dinastie, Anni felici di Daniele Luchetti) proprio per la delicata e leggermente agra atmosfera di fondo, perché la Elkann non strafà e mostra consapevolezza del mezzo, e anche perché il film dà l’impressione di essere un racconto intimo in fin dei conti sincero.
Tra gli interpreti, Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher, mentre la piccola Alma ha il volto della brava Oro De Commarque. Milo Roussel e Ettore Giustiniani sono rispettivamente Sebastiano e Jean. C’è una piccola comparsata del padre di Ginevra Alain Elkann, e forse anche – l’uomo che esce dalla casa di produzione e saluta Scamarcio – di John (in questo caso, oltre al bassotto, ci sarebbe anche un altro animale presente; uno squalo). La colonna sonora è di Riccardo Sinigallia, e risuona anche la sua bellissima Prima di andare via.
Un film così noioso che ho dovuto interrompere chiedendomi: Ma chi se ne frega? Sì, una storia intima, di ricchi, con consolidati cliché: separazioni, bimbi sballottati, papà alle prese con copioni e scritture improbabili e infantili.
Certo, piacerà a quella neo borghesia che vede nella famiglia Elkann Agnelli il riferimento classista e disordinato ma poco nobile ed estremamente stucchevole.
Ma, a noi, che ci frega’