Suggerimenti e riscoperte. La Cineteca di Milano

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La Cineteca di Milano mette a disposizione il suo ricco, prezioso e variegato canale streaming, dove sono disponibili numerose opere custodite nell’archivio della realtà meneghina. Film muti e sonori, classici riscoperti e opere quasi sconosciute, documentari, testimonianze d’archivio e film d’animazione, cortometraggi e lungometraggi, registi affermati e autori dimenticati; insomma, c’è, a spulciare l’offerta, materiale per tutti i gusti.

Ci sono, per esempio, alcuni grandi classici come il Faust (1926) di Frederich Wilhem Murnau e L’uomo che ride (1928) di Paul Leni, due capolavori dell’angosciata e angosciosa stagione dell’espressionismo tedesco. Il gioco di luci e soprattutto ombre, le scenografie, le posizioni e le angolazioni antinaturaliste della cinepresa sottolineavano, in questa stagione fondamentale per lo sviluppo del linguaggio cinematografico, un’atmosfera torva, irreale e di incubo costante. Non è un caso che molte ricostruzioni storiche affermino che il cinema horror sia davvero nato con l’espressionismo tedesco, comprese le sue capacità di intercettare e raccontare paure e non detti profondi e nascosti e di avere quindi un’essenza politica e sociale. Emergevano, filtrate appunto da questa allucinata dimensione dell’incubo, le angosce e le tensioni più profonde della nazione tedesca devastata, e le pulsioni più nascoste e torbide dell’essere umano. Non è un caso, per esempio, che nel Faust di Murnau ci sia una preveggente sequenza in cui vengono pubblicamente bruciati i libri.

Altrettanto decisivo per il linguaggio cinematografico, in particolare per le possibilità delle immagini e delle scelte stilistiche di trasmettere autonomamente un significato, senza essere “solo” un semplice supporto di una trama, è il francese Jean Epstein. Avanguardista e sperimentatore, sua è l’immersione nel surreale e nel potere totalizzante dell’arte La caduta della casa Usher (1926), un grande classico del cinema tratto dai racconti di Edgar Allan Poe. Introvabile, e da poco disponibile nel catalogo della Cineteca, è invece L’uomo della Hispano (1933), torbida storia di un innamoramento improvviso, di segreti e complotti, con una manciata di sequenze dal fascino puro e implacabile.

Se questi autori e questi film sono più o meno conosciuti, altre sono le perle e le opere ripescate dall’oblio. C’è per esempio la prima versione cinematografica del Pinocchio di Collodi, datata 1911 e interpretata dal comico Polidor. È una versione slapstick (nda, la tipica comicità muta), divertente e scatenata, che si prende pure la libertà di immaginare vicende assenti nel romanzo (la parte ambientata nel Nuovo Mondo). È un film comico, pur non privo dell’amarezza di fondo tipica delle avventure del Burattino più famoso nel mondo, e ancora oggi può essere considerata la versione più beffarda, sbeffeggiante e vivace del capolavoro di Collodi, col melodramma e la morale non assenti, ma comunque in secondo piano. Da questo punto di vista, esemplari sono, per esempio, i comportamenti e i volti di Geppetto, in qualche modo la classica vittima della tipica maschera comica e della sua stonatura nei confronti del mondo.

Rimanendo nel campo della comicità muta, una gustosa riscoperta può essere quella di Lea Giunchi. La Giunchi era una celebre attrice comica che negli anni dieci lavorò sia come spalla di altri divi, sia come protagonista e mattatrice di cortometraggi suoi. La sua carriera si interruppe nel 1919, quando, a seguito della scomparsa del marito – l’attore e regista Natalino Guillame – decise di abbandonare le scene e ritirarsi a vita privata. Disponibili sono una manciata di brevi comiche in cui Lea, pattinando o andando in banca, semina il panico creando più o meno grandi apocalissi. Emerge una sorta di imbranataggine esistenziale e di inadeguatezza che la avvicina a Mabel Normand, la dimenticata diva della comicità muta d’oltreoceano, ai tempi più famosa di Charlie Chaplin. La particolarità del suo cinema, e di molta comicità muta italiana, erano le ambientazioni piccolo borghesi e la capacità di ritrarre gli status symbol e gli usi di una classe sociale, apparentemente o meno, benestante. È una differenza questa con la slapstick statunitense, che invece prediligeva raccontare personaggi anche socialmente ed economicamente ai margini.

Un discorso molto simile, del resto, può essere fatto per André Dreed, conosciuto come “Cretinetti”, di cui è disponibile il mediometraggio Cretinetti e il mistero del direttissimo numero 13 (1923). Il film è l’ultima apparizione come protagonista del comico, e si contraddistingue, appunto, per come la comicità slapstick è affiancata dall’ironia della commedia di costume, basata appunto sugli usi e i comportamenti dei benestanti medio borghesi.

Gli autori

Edoardo Peretti

Edoardo Peretti è nato nel 1985 sulla sponda lombarda del Lago Maggiore ed è stato adottato da Torino negli anni dell'università. Laureato in storia contemporanea collabora, come critico e giornalista cinematografico, con periodici on-line e cartacei (Mediacritica, Cineforum, L'Eco del nulla, Cinema Errante e Filmidee sono le principali collaborazioni). Ha lavorato per festival ed enti del settore e cura rassegne ed eventi, in particolare con l'Associazione Museo Nazionale del Cinema e con l'associazione Switch On.

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