TOP 20. Un anno al cinema (e su Netflix)

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Di seguito venti film che hanno caratterizzato un’ottima stagione cinematografica. Piccola avvertenza: ci sono una manciata di esclusi che non avrebbero sfigurato in questo elenco (dal Joker di Todd Philips per la capacità di essere, pur nella sua furbizia, il “film giusto al momento giusto” che unisce alto e basso, al racconto sofferto e misterioso dell’emigrazione in Atlantique della senegalese Mati Diop, fino al ruspante gotico padano de Il Signor Diavolo di Pupi Avati e alla rielaborazione autobiografica di Dolor y gloria di Pedro Almodovar, passando per Avengers Endgame di Anthony e Joe Russo, conclusione di una saga decisiva nell’immaginario globale e rivoluzionaria sotto più aspetti).
Sono film distribuiti in sala o nelle piattaforme streaming nei 12 mesi che si stanno spegnendo; esclusi sono quindi una serie di inediti di cui speriamo di poter parlare nei prossimi mesi.
Buona lettura, buona visione e buon anno!

  1. VICE – L’UOMO NELL’OMBRA, di Adam McKay

Tutto è estremamente chiaro e tutto è assolutamente complesso nel cinema di McKay, divulgativo, didascalico e liberal, tanto quanto in grado, con le armi del grottesco, del ridicolo e della parodia, di raccontare gli aspetti più assurdi, complessi e insondabili del potere e della real politik. Così, la vita di Dick Cheney esce dal racconto biografico ed entra nei territori della commedia dell’assurdo. Modello di film divulgativo e di parte che va anche un po’ oltre, per impatto, alla pur alta qualità dell’opera.

  1. IL CORRIERE – THE MULE, di Clint Eastwood

Spente le 88 candeline, Clint Eastwood torna dietro e davanti la macchina da presa con un film che riflette sul tempo, combattuto nel terreno della sua fugacità, e sull’importanza delle scelte. È un tassello prezioso, duro e allo stesso tempo tenero, di un percorso forte, libertario e coerente, impresso nel volto e nelle rughe dell'”icona Eastwood” mai davvero apparsa così “anziana”.

  1. SELFIE, di Agostino Ferrente

A Pietro e Alessandro, sedicenni del rione Traiano di Napoli, viene affidato lo smartphone e la possibilità di raccontare se stessi e il contesto che li circonda, con la camorra invitato di pietra. Il risultato è un documentario che ha la tenerezza e la dolcezza dello sguardo più intimo e la sostanza del film teorico che riflette sulle nuove modalità di raccontare il reale.

  1. L’UFFICIALE E LA SPIA, di Roman Polanski

Un certo accademismo di fondo non impedisce al “J’accuse!” dell’arrabbiato e lucido Polanski di essere, fin dalla primissima splendida inquadratura, una continua lezione di regia e di sguardo sul passato e sulla contemporaneità, pubblica e privata. È anche la storia di un incubo, ed è proprio nei momenti in cui maggiormente emerge l’ossessione che l’autore polacco dà il meglio.

  1. LA MAFIA NON È PIÙ QUELLA DI UNA VOLTA, di Franco Maresco

Guardando questo cinico, disincantato, ridanciano e disperato documentario sulla maggioranza silenziosa e sul retroterra in cui la mafia si abbevera, rimangono i dubbi di assistere a un film di finzione. In realtà è tutto vero; grottesco sì, ma reale. Maresco, uno dei padri di CinicoTv, conferma di essere il controcanto alla retorica di certo impegno, guardando con ferocia, beffa e nichilismo alle “zone d’ombra delle zone d’ombra” del nostro paese. L’impresario Ciccio Mira è di per sé un trattato sociologico.

  1. LA VITA INVISIBILE DI EURIDICE GUSMAO, di Karim Ainouz

Dal Brasile, questo struggente melodramma colorato e con echi del tipico realismo magico sudamericano non ha come protagonisti due innamorati. Seguiamo infatti due sorelle, separate da una concezione maschilista e patriarcale e alla continua ricerca l’una dell’altra; per tutta la vita. “Sarebbe affascinante, per quanto malinconico, immaginare che il percorso di due rette parallele nasce dal loro irrefrenabile desiderio di incontrarsi”.

  1. RICORDI?, di Valerio Mieli

Una storia d’amore ambientata nel territorio sfuggente, aleatorio e continuamente in mutazione dei ricordi, come un Se mi lasci ti cancello senza distopia e tecnologia e del tutto concentrato sull’interiorità e sul racconto, verosimile e bugiardo, dell’intimo. Valerio Mieli torna con un’opera visionaria e sperimentale, dolce e struggente come una sensazione famigliare raccontata con sfumature conosciute solo dall’inconscio.

  1. PANAMA PAPERS, di Steven Soderbergh

Il sardonico e sarcastico resoconto dello scandalo dei Panama Papers conferma il talento versatile di Soderbergh e la sua capacità di adattarsi e manipolare generi, filoni e tecniche. Narrazioni e tempi si mischiano, così come fluidi sono il vero e il falso; due Ciceroni, Gary Oldman e Antonio Banderas nei ruoli dei veri artefici della vicenda, ci fanno da guida nel caos, assurdo, di quella realtà. Il loro discorso finale non è autoassoluzione, ma perfidamente punta il dito sul sistema e quindi su tutti noi.

  1. TESNOTA (CLOSENESS), di Kantemir Balagov

Il russo Kantemir Balagov si candida come una delle promesse del cinema europeo con questo dramma potente sulla disgregazione di un nucleo famigliare e delle psicologie dei singoli membri, con echi chiari ma non invadenti del contesto politico (siamo in Cecenia a fine anni ’90) e incentrato su un personaggio femminile memorabile per intensità e forza. Film prezioso con una consapevolezza registica mai urlata, ma evidente fin nei dettagli. 

  1. I FIGLI DEL FIUME GIALLO, di Jia Zhangke

Densa e fluviale epopea femminile che pare iniziare come un gangster movie e che si trasforma nel racconto di un’evoluzione intima e solitaria. È la conferma di quanto il cinese Jia Zhangke sappia raccontare gli anfratti in cui la storia della Cina contemporanea agisce sulla vita e sull’intimità degli individui; col respiro ad ampio raggio del romanzo, col realismo dell’osservatore acuto e col lirismo di chi non dimentica le interiorità.

  1. MIDSOMMER. IL VILLAGGIO DEI DANNATI, di Ari Folman

Dopo Hereditary, Ari Folman conferma di poter regalarci genuine inquietudini e veri spaventi negli anni a venire con questo “folk horror” eccessivo e magniloquente, come il film precedente giocato sullo stretto rapporto tra orrore e tragedia e sulla rielaborazione inquieta e parossistica di traumi e lutti. È un horror serio e “adulto”, a cui non piace giocare con trucchetti e mezze misure e dalla sagace cura formale.

  1. TRAMONTO, di Laszlo Nemes

L’ungherese Nemes racconta la fine di un’epoca e l’implosione di una civiltà ‒ la belle epoque ‒ lavorando quasi totalmente sui primi piani della coriacea e ossessionata protagonista. Il suo volto è lo specchio della distruzione, la sua discesa negli inferi è parallela al risveglio di un male collettivo inevitabile e insito nel profondo. Un altro film che parte dall’intimo e diventa un potente, nichilista, duro e ipnotico racconto universale.

  1. L’ULTIMA ORA, di Sébastien Marnier

Inquieto e misterioso dramma adolescenziale che sfiora il noir e sotto cui ribolle l’horror, è un film perfetto per raccontare “la generazione Greta” e provare a decifrare lo smarrimento, la perdita dell’idea di futuro e la rabbia nichilista dei bistrattati millenials. Assolutamente, e senza didascalismi e sconti, aggrappato alla meno evidente sostanza del contemporaneo, trasmette una continua tensione, e non solo grazie a questa ragione.

  1. STORIA DI UN MATRIMONIO, di Noah Baumbach

Da molti fino a questo momento ingiustamente bistrattato per la patina indie e un po’ hipster del suo cinema, Baumbach realizza il suo film più rigoroso e “classico” rifacendo Ingmar Bergman (Scene da un matrimonio) in salsa di commedia amara e raccontando l’eterna lotta tra gli affetti che non si arrendono e le aspirazioni personali più egoiste. È un’implacabile e più agra che dolce storia di coppia, dai toni perfettamente dosati e in cui la comicità diventa spesso strumento dei climax emotivi, aprendo le porte alla sofferenza e allo scontro.

  1. IL RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME, di Céline Sciamma

Una delle due protagoniste di questo algido, ma tutt’altro che inerme e freddo, melodramma è una pittrice; inevitabile quindi che il film sia ricco di echi visivi ed estetici di grandi pittori, che danno una certa idea di “altrove” ideale e sentimentale alla nascita di un affetto basato sugli sguardi, sulle consapevolezze amare, sulle concezioni dell’altra e sui ricordi. Un po’ come nel mito dei continuamente evocati Orfeo e Euridice. È un’opera che riflette sull’essenza dei sentimenti e che, come il tortino al cioccolato fondente, nasconde tutta la sua implacabile densità emotiva sotto la scorza di raffinatezza.

  1. LA CASA DI JACK, di Lars Von Trier

Se mi perdonate la parola, è un film “stronzo”. Lo è perché il discusso autore danese provoca, estremizza e mette in scena le sue ossessioni, le sue idiosincrasie e, quasi a mo’ di parodia, le nefandezze di cui molti lo accusano. La stronzaggine non è però fine a se stessa, e così il film diventa un provocatorio e torvo, per quanto attraversato da un gelido sarcasmo, pahmplet sul ruolo dell’artista e sulla sua concezione, con un apparato visivo di potenza non così frequente.

  1. PARASITE, di Bong Jo-hohn

L’ultima palma d’oro è una spietata e torva farsa agrodemenziale in cui il nero dell’humour cattivo si colora del rosso grandguignolesco e in cui viene certificata la fine della lotta di classe, che lascia il campo a desideri e recriminazioni autoreferenziali e individualiste, che arrivano al massimo ai sacri confini della famiglia. È la rappresentazione di una società bloccata e immobile nei fatti e nei desideri, in cui l’unica possibilità di cambiamento apparente è la finzione. Tragico ed esilarante.

  1. THE IRISHMAN, di Martin Scorsese

Scorsese, prodotto da Netflix, scrive la parola fine sull’immaginario che lui stesso ha contributo a creare con un’elegia funebre che ha il passo sommesso dell’epica intimista e amara, in cui l’antieroe è uno sconfitto burattino del contesto. Non a caso, continuo è il parallelismo con il monumento ai caduti della mitologia gangsteristica costruito da Sergio Leone nel 1984 con C’era una volta in America. Un magnifico, e malinconico, punto d’arrivo che è, l’ennesima, dimostrazione di grande cinema.

  1. C’ERA UNA VOLTA A HOLLYWOOD, di Quentin Tarantino

Con questa fiaba con protagonista l’icona Sharon Tate, anche Quentin Tarantino riflette e racconta l’immaginario, smussando la sua poetica più tipica con un film più posato e malinconico del solito e giocando nel campo dell’ideale, del simbolo, della rielaborazione e dell’invenzione. Il cinema è protagonista e la storia diventa ucronia; così, diventa possibile scavare nelle profondità che superano la cronaca e la recriminazione per raccontare l’immaginario culturale e visivo.

  1. BURNING, di Lee Chang-dong

La realtà non esiste. Potrebbe essere una sintesi perfetta per lo straordinario e poco etichettabile film del coreano Chang-dong, storia d’amore, racconto di una sparizione in stile L’avventura di Antonioni, giallo effettivo e dell’anima e fotografia di una società bloccata e classista. È un film di fantasmi, quasi un’opera, aldilà della compattezza narrativa, liquida, perfetta quindi per raccontare la contemporaneità sfuggente e indeterminata. È anche decisamente emozionante.

Gli autori

Edoardo Peretti

Edoardo Peretti è nato nel 1985 sulla sponda lombarda del Lago Maggiore ed è stato adottato da Torino negli anni dell'università. Laureato in storia contemporanea collabora, come critico e giornalista cinematografico, con periodici on-line e cartacei (Mediacritica, Cineforum, L'Eco del nulla, Cinema Errante e Filmidee sono le principali collaborazioni). Ha lavorato per festival ed enti del settore e cura rassegne ed eventi, in particolare con l'Associazione Museo Nazionale del Cinema e con l'associazione Switch On.

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