REGIA: Todd Phillips
CAST: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Brett Cullen, Frances Conroy, Glenn Flesher, Bill Camp, Shea Whigham, Dante Pereira-Olson
SCENEGGIATURA: Todd Phillips, Scott Silver
FOTOGRAFIA: Lawrence Sher
MONTAGGIO: Jeff Groth
MUSICHE: Hildue Guönadóttir
Drammatico/cinecomic
USA 2019, 123 minuti
Reduce dal Leone d’Oro vinto alla 76° Mostra d’Arte Internazionale di Venezia, Joker di Todd Phillips è sbarcato nelle sale e ha ottenuto il successo al botteghino previsto alla vigilia, facendo anche decisamente parlare di sé e rimbombando nei dibattiti, nei commenti e nei meme. È apparso fin da subito come un film che porta con sé l’ennesima, ma raramente così clamorosa, conferma di come la polarizzazione e l’isterismo dei giudizi sia un processo ormai radicato e quasi fuori controllo, con buona pace della riflessione, del senso critico, dell’analisi e in certi casi pure dell’umiltà. Soprattutto, ma di certo non in maniera esclusiva, nella variegata giungla social, il film dominato dal protagonista Joaquin Phoenix è stato da alcuni beatificato come un capolavoro assoluto e storico, mentre ad altri è invece apparso degno di una perentoria e poco benevola citazione fantozziana. Superfluo ribadire come questo gioco degli opposti estremismi lasci il tempo che trova, e che interessi solo come esempio di quanto la concezione del tifoso stia diventando dominante in ogni ambito dello scibile umano.
Il Joker di Phillips, fino a questo momento noto soprattutto per la saga demenziale di Una notte da leoni, è, vedremo, un buon film, a momenti pure ottimo e con aspetti decisamente interessanti; si veda la maniera con cui tra le righe riflette un certo feeling con aspetti della contemporaneità più problematica. Il termine capolavoro e certi entusiasmi eccessivi però stonano; è per esempio tanto derivativo, così come con altrettanta evidenza è didascalico, oltre a non essere in fin dei conti così originale e innovativo.
Aleggia, per esempio, l’ombra della New Hollywood, e di come quella stagione era in grado di rielaborare con forza disperata e disillusa il disagio, la sconfitta e il malessere, dipingendo il percorso di emblematici antieroi e di angosce sempre più invadenti. Ancor più delineate sono le ombre del cinema di Martin Scorsese. Diventa automatico collegare la Gotham City sull’orlo dell’inferno e di una crisi di nervi sociale alla New York allucinata, lurida e infernale di Taxi Driver, ma ancor più evidenti sono i riferimenti a Re per una notte (esplicitamente citato, per esempio, nella corsa finale tra i corridoi), mirabile e beffardo racconto di un progressivo e totale scollamento dalla realtà sotto molti punti di vista simile alla perdita di sé del futuro nemico di Batman.
È proprio la rappresentazione, figlia dello sguardo della New Hollywood e scorsesiano, di Gotham City, e di come di conseguenza questa assume una valenza che va oltre il percorso del protagonista, uno degli aspetti più interessanti del film. Non è la Gotham City tecnocrate e ordinata nella sua forza inquieta e castrante della trilogia dedicata all’uomo pipistrello da Christoph Nolan, e non c’è l’ombra delle stilizzazioni grafiche e fumettistiche della giungla urbana di Sin City. La metropoli in cui il protagonista compie la sua evoluzione è iper-realista, fin nei dettagli lurida, pestilenziale e malsana; appare come un ghetto abbandonato a se stesso dove vengono condannati gli ultimi, gli emarginati, gli stonati e le vittime di una forbice sociale ed economica implacabile. È una città in cui la sgradevolezza fisica e urbana riflette una rabbia e una violenza sociale che ribollono con una forza sempre più evidente e debordante. Di questa rabbia che pian piano supera il livello della semplice recriminazione il Joker diventa il simbolo, in qualche modo l’eroe. Lo diventa nel finale, quando il cinecomic si riprende con maggiore chiarezza lo spazio e la centralità fino a quel momento lasciate al cupo dramma interiore, dando una sorta di afflato epico all’involuzione psicologica e intima fin lì raccontata.
In questo modo, il Joker appare come un emblema di un malessere sociale di ampia portata, che nel film di Phillips riflette con assoluta chiarezza anche grazie al didascalismo e alla programmatica semplicità di fondo della narrazione e dell’esposizione. Alcuni hanno parlato di lotta di classe; questa è forse una definizione troppo perentoria, ma certamente la valenza allegorica del personaggio è evidente, così come è assolutamente chiaro il contesto di assoluta forbice sociale ed economica. Si veda per esempio come il padre di Bruce Wayne, solitamente raccontato come una figura positiva vittima del crimine più bieco, qui sia dipinto come un cinico nemico del popolo e dei poveri che in qualche modo ha pure meritato la sua sorte.
È probabilmente per questa didascalica chiarezza espositiva, per una certa ambiguità di fondo e per la capacità di rappresentare e intercettare una problematica e bollente questione di disagio sociale, anche forse un po’ oltre le intenzioni della vigilia, che il film è stato considerato pericoloso in particolare negli Stati Uniti, dove ci sono stati inviti al boicottaggio e dove il dibattito è stato molto acceso (si vedano le dichiarazioni, in difesa, del documentarista liberal Michael Moore). Particolarmente paventato è stato il rischio di emulazione. Timore che certamente non è dovuto alla violenza esplicita, in realtà minima e tutt’altro che insistita e morbosa, ma proprio alla sua capacità di essere urgente e contemporaneo e al potenziale rischio che possa contribuire ad accendere una miccia.
Queste ed altre questioni emergono, di riflesso, in un andamento, come accennato, molto programmatico e didascalico, spesso pure prevedibile e dove la limpidezza presto lascia spazio al sospetto di un’eccessiva costruzione a tavolino, da cui non sfuggono neppure le scelte e i riferimenti stilistici e la chiave di lettura più autoriale del cinecomic.
Insomma, Joker è un film che in fin dei conti funziona e sotto certi punti di vista può essere pure considerato il “film giusto al momento giusto”, ma è anche un’opera che lascia forte, da ogni punto di vista la si guardi, la sensazione di una certa furbizia e di una certa artificiosità di fondo. A partire da come sembra voler apparire più originale e rivoluzionario di quanto in realtà sia.
P.S. Infatti, sarebbe pure interessante approfondire i motivi per cui in certa cinefilia (e pure in certa critica) altri cinecomic altrettanto profondi, contemporanei e stratificati, ma allo stesso tempo più aderenti ai canoni e alle aspettative del genere, non abbiano avuto lo stesso successo. La cosa ricorda un po’, fatte le ovvie e dovute proporzioni, quei racconti in cui gli emigrati meridionali dovevano fingere l’inflessione dialettale della regione ospitante e le sue tradizioni per venire davvero accettati.
P.S.2. Chi si ricorda la riflessione sui premi scritta su queste pagine in occasione del Festival di Venezia, ricorda che la domanda “il Joker meritava il Leone d’Oro?” è rimasta senza risposta. Ecco, un po’ lo è ancora; non è stato, in un concorso che – ricordate? – non brillava per folgorazioni e originalità di sguardi, un Leone d’Oro scandaloso, ma allo stesso tempo forse alcuni film, anche nella loro rielaborazione di canoni già radicati, erano nel complesso maggiormente riusciti.