Il concorso della 76° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia continua a convincere affidandosi al sicuro di nomi noti con The laundromat di Steven Soderbergh, preciso e allo stesso tempo ironico film d’inchiesta e di divulgazione sullo scandalo dei Panama Papers che conferma la camaleontica capacità dell’eclettico regista statunitense di adattarsi, e di manipolare, generi e filoni. Gary Oldman e Antonio Banderas fanno, splendidamente, da ciceroni nel mondo sommerso delle società offshore, cercando di spiegare nella maniera più chiara e vivace possibile quell’universo in cui, si scoprirà, hanno un ruolo decisivo. Nel frattempo, scorrono le vicende degli individui più o meno direttamente collegati allo scandalo, che siano approfittatori o vittime – il decisivo personaggio interpretato da Meryl Streep. The laundromat non è di per sé un film originalissimo; si inserisce nel filone dedicato allo shock della crisi finanziaria del 2018, in qualche modo ricordando, pur un po’ meno scatenato e più quadrato, l’approccio di Adam McKay (La grande scommessa sulla crisi economica e Vice sulla figura di Dick Cheney) alle questioni della contemporaneità e della storia recente, dove la comicità e l’ironia sostengono la chiarezza divulgativa nel suo tentativo di farsi spazio a spallate nel caos dei contesti rappresentati. Soderbergh trova l’originalità e lascia il segno giocando sulla forma e soprattutto sulla narrazione; i vari piani del racconto si mischiano e in questo modo sottolineano così il caos di fondo della vicenda, il suo cinismo e le sue conseguenze più paradossali. Infine, pur nella chiarezza della presa di posizione del regista, il monologo difensivo finale dei due protagonisti dà una visione più complessa e soprattutto non esclude l’intero sistema e la sua sostanza più profonda e radicata dall’accusa mossa.
Presentato nella sezione Sconfini, anche Effetto domino di Alessandro Rossotto si immerge nelle conseguenze della crisi economica, raccontando come il naufragio di un visionario progetto imprenditoriale frani distruggendo un’intera comunità del profondo veneto, creando l’effetto domino del titolo. Il film affronta numerosi spunti interessanti (non manca, per esempio, la questione del progressivo e imminente invecchiamento della società) e il film parte bene associando le immagini di un territorio fatto di rovine urbane e di “Padania classics” alla desolazione lavorativa, interiore e sociale – in certi casi anche morale – di una realtà smarrita, disillusa e apatica. I buoni spunti di partenza e i momenti, anche esteticamente, riusciti della prima parte lasciano però presto spazio a un’eccessiva e continua ricerca della situazione madre e della sequenza, dell’inquadratura e della frase ad effetto, che alla lunga fa perdere al film il suo baricentro e intiepidisce la sua forza, sia espressiva che politica. Non aiuta certamente il visionario prefinale alla Sorrentino che dà un retrogusto grottesco fino a quel momento assente e decisamente stonato. Insomma, Effetto domino è un film irrisolto, per quanto non privo di ottimi momenti e tutto sommato lucido nella sua sconsolata e dura visione delle cose, in qualche modo vittima della sua voglia continua e incontrollata di stupire e di convincere non solo per il riflesso della problematica realtà rappresentata.
Passando alla sezione Orizzonti, anche Mes Jours de gloire del francese Antoine De Bary è un film che vanifica i buoni spunti iniziali e alla lunga smarrisce la strada. Protagonista è uno sfortunato e inadeguato quasi trentenne aspirante attore che vive alla giornata e si schianta contro l’arrivo della vita adulta. Questa piccola e quotidiana epopea emblematica dei nostri tempi è raccontata con le armi della commedia paradossale incentrata sulla rappresentazione dell’incapacità di capire e scendere a patti col contesto e con gli echi estetici e visivi di certa nouvelle vague (volendo fare uno sforzo, il protagonista sotto certi aspetti è erede del truffauttiano Antoine Doinel). L’esordiente De Bary però, dopo un discreto e promettente inizio, cade nella trappola della ripetitività e del già visto e non riesce a dare personalità, reale profondità e vigore al malcapitato protagonista. Del resto, il film è ispirato a un cortometraggio diretto dallo stesso regista, e l’allungamento del brodo viene decisamente percepito.
Tornando al concorso, tra i film più esaltati – anche con qualche eccesso di entusiasmo – e convincenti del concorso c’è l’italiano Martin Eden di Pietro Marcello, tratto dall’omonimo romanzo del 1908 di Jack London. È il primo film davvero di finzione di Marcello, già autore di suggestivi documentari non del tutto estranei alla fiction come lo splendido Bella e perduta. Martin Eden è un giovane proletario il quale, innamoratosi dell’affascinante e raffinata altoborghese Elena, decide di acculturarsi, fino a voler diventare uno scrittore. Sullo sfondo, accenni a questioni della storia d’Italia, evidenti pur nella dichiarata cornice atemporale della vicenda e pur non essendo mai davvero espliciti e in primo piano, e resi per mezzo dei costanti inserimenti di immagini di repertorio, “pubbliche” (lotte sindacali, operai al lavoro) e private (una coppia di bambini che balla, volti e azioni di persone comuni). Riassumendo in un’unica cornice vari decenni del Novecento e in qualche modo come rubati da un altrove per il protagonista contemporaneamente estraneo e irrinunciabile, è proprio questo flusso di immagini e di volti, quasi invisibile tanta è la soavità con cui entra nella narrazione, che conferisce a Martin Eden sia il fascino più immediato del piacere della visione e delle emozioni trasmesse, sia quello tematico e sostanziale di un’opera sull’universalità e sull’eternità di condizioni e sentimenti umani. Sono semmai i momenti dichiaratamente di finzione e più romanzeschi a risultare talvolta artificiosi e non sempre fluidi, segnale di un certo disagio ancora provato da Marcello nei confronti della narrazione tradizionale. Il protagonista Luca Marinelli dà ulteriore forza al personaggio, confermandosi come uno degli interpreti più iconici del cinema italiano.