I figli del fiume giallo

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REGIA: Jia Zhangke
CAST: Zhao Thao, Liao Fan, Xu Zheng, Diao Yinan, Casper Liang
SCENEGGIATURA: Jia Zhangke
FOTOGRAFIA: Eric Gautier
MONTAGGIO: Matthieu Laclau
Melodramma, Cina/Francia, 141 minuti

I figli del fiume giallo di Jia Zhangke, presentato nel 2018 a Cannes e da poco distribuito nelle sale italiane, è innanzitutto una conferma. Ribadisce infatti quanto Jia Zhangke sia uno dei più importanti, decisivi e interessanti protagonisti del cinema contemporaneo. L’autore cinese regala un’altra opera ammaliante e magniloquente, complessa senza essere cerebrale, realista e contemporaneamente lirica, capace di cogliere quegli anfratti in cui la storia della Cina contemporanea agisce sulla vita e sull’intimità degli individui.

È questo infatti il campo dove, almeno da Still life (2006) – film chiaramente citato in una sequenza che crea, per qualche attimo, un clamoroso cortocircuito interno alla filmografia dell’autore – in poi, Zhangke gioca: raccontare la Cina contemporanea e il limbo tra passato e futuro in cui pare essere sospesa, le lente e implacabili mutazioni in atto e soprattutto lo sradicamento che del limbo è una delle più evidenti conseguenze.

Zhao Qiao è l’eroina di questo melodramma che pare iniziare come un gangster movie e si trasforma nel racconto di un’evoluzione intima e solitaria, diviso in tre atti; 2001, 2006 e 2018, esattamente come il precedente Al di là delle montagne (2015), altra sofferta e densissima epopea femminile, saltava dal 1999 al 2014 per poi immaginare un futuristico 2025 che raccontava un nuovo popolo definitivamente smarrito, diverso e slegato. I due film sono, del resto, imparentati, come fossero le parti di un dittico. Innanzitutto per la centralità della figura femminile – in entrambi i casi interpretata da Zhao Thao, musa del regista e protagonista di quasi tutti i suoi film – che riassume e soffre i cambiamenti imposti dalla storia, in equilibrio tra resistenza e resilienza, tra sofferenza e orgoglio, con la conseguente raffigurazione di personaggi maschili sospesi invece tra fallimento ed egoismo, tra sconfitta e cinismo. E, inoltre, proprio per la già citata capacità di creare epopee dallo sguardo allo stesso tempo intimo e vasto, in cui il particolare dei singoli rispecchia il generale dei cambiamenti che la Cina affronta.

I figli del fiume giallo è un “melodramma errante”. La protagonista è in continuo movimento, fisico e “interiore”, e tutto ciò che la circonda è mutato o è pronto a mutare. Qualsivoglia parvenza di stabilità immediatamente sfuma e un senso di diaspora complessivo e inevitabile si sedimenta nei comportamenti, nelle scelte e negli stati d’animo, così come viene riflesso negli sfondi e nei dettagli. È un film che, per esempio, viene aperto da un tram affollato e dove automobili, treni e navi da crociera appaiono in sequenze fondamentali. Questo senso di diaspora risalta anche nell’attenzione verso i decadenti e decaduti paesaggi urbani, come sempre in Zhangke centrali e con un ruolo significativo di rovine imminenti o di cattedrali nel deserto, tanto quanto nei frequenti inserti quasi documentaristici che intervallano – o accompagnano – l’evolversi del melodramma e che raccontano le migrazioni interne dovute allo smantellamento di distretti industriali o alla costruzione della Diga delle Tre Gole, opera enorme che sommerse intere province e cambiò i connotati a intere comunità. Una delle firme più tipiche di Zhangke, del resto, è la ricorrenza di campi lunghi, di panoramiche e di dolci movimenti della cinepresa che in qualche modo incorniciano e “incastrano” i singoli nel paesaggio, e che spesso sottolineano proprio questo parallelismo tra l’evolversi dei personaggi e quello del contesto e della storia.

Dato che non siamo fan del “bastano i contenuti” e dell’arte superficialmente e piattamente pedagogica, ribadiamo che I figli del fiume giallo non funziona solo per le tematiche che offre, per il suo sguardo sull’oggi e per le riflessioni che può favorire (con pochi cambiamenti, le questioni di fondo su certe derive della modernità possono avere un valore universale). Non c’è didascalismo di fondo; tutto emerge, in maniera sottile tanto quanto evidente e potente, dal senso che Jia Zhangke ha del racconto e del linguaggio. Per esempio, tutto viene espresso, per riflesso, dalla riflessione sugli spazi e sui paesaggi e dalla maniera di “raccontare” il tempo. C’è, nel racconto delle vicende e degli stati d’animo che mutano, un ritmo solenne e placido da cui emerge quel senso delle trasformazioni che avvengono in maniera carsica, – talvolta impercettibile, – ma irrimediabile proprio dei tempi con cui si sedimentano gli effetti e le conseguenze della storia con la esse maiuscola.

Ciò che più conta è come I figli del fiume giallo riesca a essere un’opera ammaliante e capace di emozionare senza sfruttare il sentimentalismo, complessa senza essere cerebrale, elegante senza manierismi e capace di dare uno sguardo preciso sulla realtà senza cadere nelle trappole del realismo e dell’impegno più ovvi.

Gli autori

Edoardo Peretti

Edoardo Peretti è nato nel 1985 sulla sponda lombarda del Lago Maggiore ed è stato adottato da Torino negli anni dell'università. Laureato in storia contemporanea collabora, come critico e giornalista cinematografico, con periodici on-line e cartacei (Mediacritica, Cineforum, L'Eco del nulla, Cinema Errante e Filmidee sono le principali collaborazioni). Ha lavorato per festival ed enti del settore e cura rassegne ed eventi, in particolare con l'Associazione Museo Nazionale del Cinema e con l'associazione Switch On.

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