Quello che sta accadendo da un po’ di tempo a questa parte nelle grandi città, e cioè la nascita di un movimento a difesa del verde cittadino, induce a qualche considerazione.
Nella capitale sono almeno 40 i comitati spontanei e le piccole associazioni che si battono affinché venga tutelato il verde urbano, in particolare quei pini domestici che sono un po’ il simbolo del verde romano, e si riconoscono sotto la sigla Difendiamo i pini di Roma. A Torino il dissennato programma della giunta Lo Russo di tagliare gli alberi di corso Belgio ha fatto nascere un comitato di opposizione di residenti che si è anche rivolto alla magistratura per fermare la mano pubblica (https://www.ansa.it/piemonte/notizie/2023/09/13/alberi-di-corso-belgio). E, oltre a questo, anche altri comitati agiscono sul territorio (al Giardino Artiglieri di Montagna, alla Pellerina, in corso Principe Eugenio, al Meisino: https://volerelaluna.it/territori/2023/08/25/torino-quando-la-tutela-del-verde-e-in-mano-ai-cittadini/) e tutti insieme si riconoscono nel coordinamento dal significativo titolo di Resistenza Verde. A Milano sono attivi più di venti tra comitati e associazioni per la tutela di territorio e verde, e formano la Rete Comitati.
La prima considerazione al riguardo è che queste tre metropoli hanno giunte di sinistra, anche se il termine “sinistra” sappiamo bene che vale per quello che vale. Comunque – diciamo – giunte che dovrebbero salvaguardare il verde quanto meno a tutela della salute pubblica. Era del resto nei programmi dei tre attuali sindaci e Sala, a Milano, aveva addirittura annunciato di voler aderire ai Verdi Europei (https://www.tempi.it/sala-milano-elezioni-verdi-ambiente/). Seconda considerazione: è da valutare positivamente la crescita di sensibilità di chi vive in città riguardo alla qualità dell’aria garantita dal verde pubblico, e in alcuni casi del vero e proprio amore per gli alberi come esseri viventi. Una terza, ma non ultima, considerazione riguarda invece l’assenza, in queste lotte cittadine, dell’associazionismo storico. Già tempo addietro mi trovai a scrivere che le grandi associazioni non erano più tali per svariate ragioni (https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/24/lambientalismo-e-in-crisi-domandiamoci-il-perche/3870989/). Resta il fatto che manca il ricambio e che i giovani neppure si iscrivono più a WWF, Legambiente, Italia Nostra, Pro Natura. Se a ciò aggiungiamo gli scontri tra di loro, come quello recente sul consumo di suolo dei pannelli solari a terra (https://italialibera.online/ambiente-territorio/i-pannelli-solari-e-il-consumo-del-suolo-lultima-frattura-tra-ambientalisti-e-su-una-questione-chiave/), la frittata è fatta.
Sostanzialmente le grandi associazioni sono assenti in queste lotte che sorgono dal basso. Eppure proprio su queste lotte concrete esse dovrebbero impegnarsi piuttosto che sui massimi sistemi, da cui hanno poco da ricavare in termini di successi e anche di visibilità. Senza contare che proprio dai comitati potrebbero imparare nuove forme di lotta e ad usare meglio i social media.
La nascita di movimenti dal basso che sostengono iniziative per l’ambiente è una bellissima notizia. Il fatto che tutte queste iniziative siano sensate e ragionate è un altro discorso. La sostituzione degli aceri di corso Belgio e il progetto del nuovo ospedale Maria Vittoria nell’area giostre e parcheggio alla Pellerina sono due esempi eclatanti di come da parte di questi gruppi vi sia scarsa capacità di valutazione su quale sia la migliore scelta per il futuro dei cittadini di Torino. Il fatto che non tutte queste lotte siano appoggiate dalle associazioni ambientaliste storiche è legata anche alle competenze che queste hanno.
Le amministrazioni hanno il dovere di informare e coinvolgere i cittadini nelle loro scelte e spesso non lo fanno. I cittadini hanno il dovere d’informarsi prima di lasciarsi coinvolgere in pure battaglie ideologiche.
È molto facile far nascere un movimento contro qualcosa: difficilissimo unire le persone a favore di un progetto ben definito. La progettazione richiede sempre la capacità di un compromesso fra visioni diverse per arrivare a una sintesi.
Chi come lei scrive su quotidiani ha il dovere di far emergere i vari punti di vista su un argomento. Se oggi non si riesce a discutere su un argomento senza arrivare a scontri tra opposte tifoserie è anche responsabilità di chi scrive sui quotidiani.
Il giornalismo deve essere prima di tutto informazione non semplice militanza di parte.
Buon lavoro
c’è una cosa da precisare rispetto al commento precedente: l’utore non è un giornalista ma un blogger. Ho il dubbio che sia mai stato ambientalista, piìoichè saprebbe le ifferenze tra onlus e ONG, che cita. Sarebbe che legambiente e wwf devono puntare su massimi sistemi per scelte nazionali ed internazionli. Diversi sono i circoli delle onlus. Però mi chiedo, quale uso dei social dovrebbero imparare queste associazioni dai movimenti spontanei? lo sa che le prime due, e aggiungiamo Lipu e greenpeace hanno uffici dedicati alla comunicazione web? detto da uno che ha una pagina con 2 interazioni a settimana mi farei due domande. Saluti
Scusi ma le associazioni dovrebbero abbandonare i massimi sistemi perché non ottengono pochi successi? Ma cosa sta dicendo? Per farle un esempio e tralasciando le innumerevoli specie, è di questa settimana il fototrappolaggio della lince sul Gran Paradiso. E proprio per cercare di ripopolare la specie, il progetto Urgent Lynx Conservation Action, coordinato dai Carabinieri Forestali, WWF e Regione Friuli ha previsto il rilascio, ultimato lo scorso giugno, di 5 esemplari di lince provenienti dal cantone Giura in svizzera, dai Carpazi in Romania e dalla Croazia, nella foresta di Tarvisio, in provincia di Udine, territorio storico per la loro presenza in Italia. Non mi paiono azioni di poco successo, forse poco visibili per chi come lei non si occupa di ambiente sul campo. Ma la visibilità non è tutto.