Contro l’antropocentrismo. La svolta della “Laudato sì”

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Nel 1968, su impulso dell’imprenditore italiano Aurelio Peccei, un gruppo di intellettuali, politici, dirigenti industriali e scienziati, preoccupati dai problemi ecologici causati dalla crescita economica degli ultimi venti anni, fondò il Club di Roma e affidò a un gruppo di ricercatori del Massachussets Institute of Technology uno studio finalizzato a prevedere fino a quando il pianeta sarebbe stato in grado di fornire al sistema produttivo le quantità crescenti di risorse di cui aveva bisogno per continuare a far crescere la produzione e il consumo di merci, e di metabolizzarne gli scarti. Lo studio venne focalizzato su cinque fattori di crisi: la crescita della popolazione mondiale, della produzione agricola, della produzione industriale, dello sfruttamento delle risorse non rinnovabili e dell’inquinamento. Nel rapporto, pubblicato nel 1972, in inglese col titolo The Limits to Growth (I limiti della crescita), in italiano col titolo I limiti dello sviluppo, si sosteneva che, a quei tassi di crescita, il sistema economico e produttivo nell’arco dei successivi cinquant’anni avrebbe superato le capacità del pianeta di sostenerlo. Poiché la ricerca metteva in discussione il pilastro su cui si fondava l’economia dei Paesi industrializzati, suscitò forti polemiche tra chi ne condivideva le tesi e chi le riteneva infondate. Introdusse nel dibattito scientifico temi sino ad allora ignorati, ma non riuscì a far maturare una sensibilità ecologica in grado di ridurre l’impatto ambientale dei processi produttivi e degli stili di vita consumistici.

Indifferente alle diatribe umane, l’economia continuò a crescere e la crisi ecologica ad aggravarsi. L’ONU cominciò a preoccuparsi e nel 1983 istituì una Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, affidandone la presidenza alla dottoressa Gro Harlem Brundtland, già primo ministro della Norvegia. L’obbiettivo della Commissione, come si evince dal suo stesso nome, era l’elaborazione di una strategia che consentisse di conciliare le esigenze dello sviluppo economico con la tutela dell’ambiente. Tuttavia il messaggio principale del rapporto conclusivo, pubblicato nel 1987 col titolo Il nostro comune futuro, non metteva in correlazione lo sviluppo economico con la possibilità di ridurre il suo impatto sulla biosfera, ma con la possibilità di soddisfare le esigenze della specie umana in saecula saeculorum. In quel rapporto venne coniato il concetto di sviluppo sostenibile, che veniva definito in questi termini: «uno sviluppo che consente alle generazioni presenti di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».

Anziché superare l’antropocentrismo, che è la matrice filosofica su cui la specie umana fonda il suo diritto di instaurare rapporti di dominio con le altre specie viventi e con gli ecosistemi, la proposta della commissione Brundtland lo rafforzava. Non poteva che derivarne un aggravamento ulteriore della crisi ecologica, come fu dimostrato dal fatto che appena cinque anni dopo l’ONU fu indotta a convocare a Rio de Janeiro un congresso mondiale, sempre sull’ambiente e lo sviluppo, con l’obbiettivo di conciliare l’inconciliabile: la riduzione delle emissioni di CO2 con la finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci, che le fa aumentare. Il compito di affrontare questa missione impossibile fu assegnato all’organizzazione annuale di Conferenze delle parti (COP), in cui si sarebbero dovuti incontrare i responsabili politici e gli staff tecnici del maggior numero possibile di Paesi del mondo. Nei successivi trent’anni, pur essendo state organizzate 27 di queste Conferenze, con la partecipazione di delegazioni da 196 Paesi, la concentrazione della CO2 nell’atmosfera non solo è cresciuta costantemente, ma sono aumentati anche i suoi tassi di crescita annui: dal 1990 al 2000 di 1 parte per milione; dal 2000 al 2010 di 1,5 ppm; dal 2010 al 2020 di quasi 2 ppm. Per 5 milioni di anni, fino alla fine del Settecento non aveva superato le 280 ppm. A maggio 2023 ha raggiunto le 424 ppm. Di conseguenza la crisi climatica si è progressivamente aggravata, avvicinandosi sempre di più al punto di non ritorno.

Ogni cinque anni la specie umana celebra il suo potere organizzando una fiera mondiale denominata Expo, dove le aziende di molti Paesi espongono le innovazioni tecnologiche con cui nel quinquennio precedente hanno accresciuto la loro capacità di dominare la natura e le altre specie viventi. Nel 2015, la fiera è stata ospitata a Milano e gli organizzatori hanno pensato di conferirle una valenza etica intitolandola Nutrire il Pianeta. Non è necessario avere un master in sociologia per sapere che l’ignoranza e la presunzione sono due sorelle gemelle inseparabili ed equipollenti. E basta aver frequentato la scuola primaria per sapere che non è la specie umana a nutrire il pianeta, ma è il pianeta a nutrire tutte le specie viventi, tra cui la specie umana. Quello slogan è una spia del più ottuso antropocentrismo. Qualcuno potrebbe obbiettare che volesse semplicemente indicare il proposito di utilizzare le innovazioni scientifiche e tecnologiche per nutrire regolarmente gli 800 milioni di esseri umani che patiscono la fame. Sarà (forse), ma per risolvere o, quanto meno, attenuare questa inaccettabile ingiustizia senza accrescere lo sfruttamento delle risorse naturali e l’impatto della specie umana sul pianeta, bisognerebbe innanzitutto che i popoli ricchi riducessero la quantità di cibo che buttano e adottassero una dieta meno carnivora, in modo da poter destinare all’alimentazione umana una quota significativa dei terreni agricoli attualmente coltivati per l’alimentazione degli animali da allevamento. Dovrebbero inoltre indirizzare le innovazioni tecnologiche a ridurre il consumo di materia e di energia per unità di prodotto, allungare la durata di vita degli oggetti, riutilizzare i materiali contenuti negli oggetti dismessi, in modo da lasciare ai popoli poveri una maggiore disponibilità di risorse. La vera misura del progresso tecnologico è la capacità di migliorare le condizioni di vita degli esseri umani che ancora non riescono a soddisfare le esigenze della sopravvivenza, senza danneggiare le condizioni di vita di altre specie viventi, né aggravare l’insostenibilità ambientale.

Se lo slogan Nutrire il Pianeta fosse stato stato dettato dalla nobile intenzione di aiutare i popoli poveri a uscire dalla povertà (come è noto, di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno) l’ottusità antropocentrica che lo ha dettato sarebbe ancora più grave, perché vorrebbe dire che con la parola pianeta gli organizzatori dell’Expo di Milano intendevano la specie umana. Poiché la specie umana non è il pianeta, ma solo lo 0,01% di tutte le specie viventi sulla Terra, quello slogan presuppone l’idea che il pianeta sia stato fatto per lei e che tutte le altre specie viventi non abbiano un valore in sé, ma soltanto la funzione di essere risorse al suo servizio.

Nonostante tutto, l’ottusità granitica dell’antropocentrismo comincia a manifestare delle crepe. Nello stesso anno 2015 in cui si è svolta l’Expo di Milano, il primo papa a scegliere il nome di Francesco d’Assisi a otto secoli dalla sua morte, rendeva pubblica una lettera Enciclica che, utilizzando l’incipit del Cantico di frate Sole, aveva intitolato Laudato sì’. In questa Enciclica viene analizzata, con un rigore scientifico connotato da una forte motivazione etica, la gravità raggiunta dalla crisi ecologica, si sostiene che sia causata dall’antropocentrismo che caratterizza la cultura e il sistema dei valori delle società industriali e che per superarla sia necessaria una profonda rivoluzione culturale finalizzata a realizzare un’ecologia integrale, riconoscendo il ruolo insostituibile di ogni specie vivente nella rete dei rapporti che le connette tra loro e con i fattori abiotici degli ecosistemi in cui sono inserite. A questa consapevolezza scientifica, sufficiente per indurre la specie umana a non considerarle al proprio servizio, Papa Francesco conferisce una connotazione etica derivante dalla concezione religiosa della Terra come creato e dei viventi come creature, a ognuna delle quali il Creatore ha assegnato una collocazione specifica nel suo disegno divino. Non è necessario condividerla per apprezzare che in questo contesto tutti i viventi ricevono una valorizzazione ulteriore.

«Dunque, si capisce meglio l’importanza e il significato di qualsiasi creatura, se la si contempla nell’insieme del piano di Dio. Questo insegna il catechismo: “L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità e diseguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre”» (n. 86).

Se ogni specie vivente ha una funzione insostituibile nella rete delle relazioni che la interconnettono a tutte le altre, il male subito da ognuna di esse si ripercuote a catena su tutte, anche su quella che lo commette:

«… essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile. Voglio ricordare che “Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione”» (Esort. Ap. Evangeli gaudium, 24-11-2013, n. 89) (n. 215).

La consapevolezza della pari dignità di ogni specie vivente e della necessità di ognuna di esse nella fitta trama delle relazioni che le connettono tra loro e con i luoghi della terra in cui vivono, non consente di considerarle risorse al servizio della specie umana, come è stato fatto fino ad ora dalla visione del mondo antropocentrica.

«Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in se stesse e noi potessimo disporne a piacimento. Così i Vescovi della Germania hanno spiegato che per le altre creature “si potrebbe parlare di priorità dell’essere sull’essere utili”» (n. 89).

La convinzione che tutte le specie viventi siano al servizio della specie umana, non è soltanto la causa di fondo della crisi ecologica, ma genera anche gravi conseguenze sociali, perché induce gli esseri umani a competere per impadronirsene e favorisce i più forti a danno dei più deboli.

«Sarebbe […] sbagliato pensare che gli altri viventi debbano essere considerati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. Quando si propone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò comporta anche gravi conseguenze per la società. La visione che rinforza l’arbitrio del più forte ha favorito immense diseguaglianze, ingiustizie e violenze per la maggior parte dell’umanità, perché le risorse diventano proprietà del primo arrivato, o di quello che ha più potere: il vincitore prende tutto. L’ideale di armonia, di giustizia, di fraternità e di pace che Gesù propone è agli antipodi di tale modello, e così Egli lo esprimeva ai poteri del suo tempo: «I governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra di voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mt, 20, 25-26) (n. 82).

I modi con cui gli esseri umani trattano gli animali si riflettono nei modi in cui si rapportano tra loro. Il rifiuto di maltrattare gli animali si traduce in una maggiore predisposizione a instaurare rapporti sociali basati sulla collaborazione e il rispetto reciproco.

«[…] quando il cuore è veramente aperto a una comunione universale, niente e nessuno è escluso da tale fraternità. Di conseguenza, è vero anche che l’indifferenza o la crudeltà verso le altre creature di questo mondo finiscono sempre per trasferirsi in qualche modo al trattamento che riserviamo agli altri esseri umani. Il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone». (n. 92)

Nell’attuale epoca storica, in cui l’estinzione della specie umana ipotizzata da Giacomo Leopardi due secoli fa (vedi https://volerelaluna.it/ambiente/2023/08/01/contro-lantropocentrismo-il-creato-non-e-solo-per-luomo/) è diventata una possibilità reale, l’Enciclica di Papa Francesco indica nel superamento dell’antropocentrismo il pre-requisito per evitarla.

La cultura laica e la cultura religiosa contemporanee saranno capaci di fare questa scelta? Saranno capaci di traghettare l’umanità dall’epoca storica iniziata nella seconda metà del Settecento con la rivoluzione industriale, a una nuova epoca storica capace di spostare le conquiste scientifiche compiute negli ultimi tre secoli dalla logica del dominio alla logica della cura del pianeta e di tutti i viventi?

L’articolo completa l’analisi svolta in https://volerelaluna.it/ambiente/2023/08/01/contro-lantropocentrismo-il-creato-non-e-solo-per-luomo/

Gli autori

Maurizio Pallante

Maurizio Pallante, laureato in lettere, si occupa di economia ecologica e tecnologie ambientali. Nel 2007 ha fondato il Movimento per la decrescita felice, di cui è presidente onorario. È autore di numerosi saggi e articoli

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2 Comments on “Contro l’antropocentrismo. La svolta della “Laudato sì””

  1. Andrebbe trattato il tema della crescita della nostra specie. La capacità portante della terra non può assolutamente sopportare il carico di OTTO miliardi di esseri umani. Questo è il tema che nessuno vuole affrontare e che porterà inevitabilmente al colasso ecologico del sistema terra entro qualche decennio.

  2. È stupido pensare che l’uomo non si muova in un orizzonte antropocentrico altrettanto che pensare che la formica non sia formicocentrica o che i coralli del barriera corallina – che modificano in modo estremamente significativa l’ambiente circostante – non siano corallocentrici… La prospettiva della laudato si che Papa Francesco individua porta avanti è critica verso il biocentrismo perché esso toglie ogni responsabilità e va verso direzioni inconsult ed imprevedibili. L’uomo è l’unico essere che oltre a guardare al proprio presente futuro con lo sviluppo sostenibile sa guardare anche le altre creature, ed ovviamente a lui è affidata la responsabilità di tutto il mondo. Al contrario delle previsioni del club di Roma nutrire il pianeta ha dimostrato che sarebbe possibile il mantenimento di 10 miliardi più di uomini in un contesto di solidarietà e di abbattimento delle diseguaglianze e delle differenze economiche e sociali. È questa la prospettiva della laudato sii. Giuseppe Piacentini

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