Gli Stati, le lobby e il fallimento della COP26

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L’esito della conferenza di Glasgow sui cambiamenti climatici è stato, al di là delle parole di circostanza, fallimentare. Quel che già era chiaro durante i lavori (https://volerelaluna.it/commenti/2021/11/09/un-global-flop-da-roma-a-glasgow/) è stato confermato nella dichiarazione finale. I veti e le pressioni congiunte di Cina e India (che hanno imposto un passo indietro sui combustibili fossili) e di Stati Uniti e Unione europea (che non hanno voluto concedere ai paesi più vulnerabili una struttura di finanziamento per i danni causati da eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico) hanno prodotto, a fianco delle consuete chiacchiere (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/11/10/come-e-green-quel-treno-il-tav-ai-tempi-della-cop26/), ritardi e rinvii. Intanto il riscaldamento globale cresce avviandosi verso livelli insostenibili.

Le responsabilità degli Stati sono evidenti ma si inseriscono in un quadro ancor più allarmante che alimenta il pessimismo per il futuro.

L’analisi dell’elenco dei partecipanti alla Conferenza effettuata da Corporate Accountability, Corporate Europe Observatory (CEO), Glasgow Calls Out Polluters e Global Witness mostra, infatti, una presenza della lobby dei combustibili fossili di proporzioni macroscopiche: se si fosse trattato di una delegazione nazionale, sarebbe stata la più grande con 503 delegati, due dozzine in più rispetto alla delegazione nazionale più affollata. Un comunicato stampa di Global Witness segnala che a Glasgow erano rappresentate oltre 100 aziende di combustibili fossili con 30 associazioni di categoria. La lobby dei combustibili fossili era più grande del totale combinato delle otto delegazioni dei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici negli ultimi due decenni: Porto Rico, Myanmar, Haiti, Filippine, Mozambico, Bahamas, Bangladesh, Pakistan. 27 delegazioni nazionali ufficiali, tra cui Canada, Russia e Brasile, avevano al loro interno lobbisti dei combustibili fossili. Difficile pensare, in quel contesto, a un esito diverso da quello intervenuto e altrettanto arduo ipotizzare cambiamenti in tempi brevi. Lo ha denunciato esplicitamente Murray Worthy, leader della campagna Gas presso Global Witness: «Con il mondo che sta rapidamente esaurendo il tempo per evitare il disastro climatico, un’azione globale significativa non deve essere deviata da un festival di inquinatori e dei loro portavoce, che non hanno interesse a realizzare i cambiamenti di cui abbiamo bisogno per proteggere le persone e il pianeta. […] La presenza di centinaia di rappresentanti pagati per tutelare gli interessi tossici delle aziende inquinanti dei combustibili fossili, aumenterà solo lo scetticismo degli attivisti del clima che vedono questi colloqui come un’ulteriore prova dell’indecisione e dei ritardi dei leader globali». E a lui ha fatto seguito Pascoe Sabido, ricercatore e attivista per Corporate Europe Observatory: «La COP26 viene venduta come il luogo per aumentare le ambizioni, ma brulica di lobbisti dei combustibili fossili la cui unica ambizione è quella di rimanere in attività. Affaristi del calibro di Shell e BP sono all’interno di questi colloqui benché si propongano apertamente di aumentare la loro produzione di gas fossile. Se vogliamo affrontare seriamente il problema, allora i lobbisti dei combustibili fossili dovrebbero essere esclusi dai colloqui».

E non basta. Nella conferenza di Glasgow la presenza dei lobbisti non si è limitata ai rappresentanti dell’industria dei combustibili fossili. Erano presenti anche altre industrie inquinanti profondamente implicate nella crisi climatica, come la finanza, l’agroindustria e i trasporti, pur generalmente escluse da questi incontri.

Queste presenze evidenziano conflitti di interesse macroscopici a tutt’oggi non affrontati malgrado le richieste di paesi che rappresentano collettivamente quasi il 70% della popolazione mondiale. Come segnalano Corporate Accountability, CEO, Glasgow Calls Out Polluters e Global Witness è inutile illudersi sulla possibilità di adottare le decisioni drastiche oggi necessarie se non si escluderanno dai negoziati le organizzazioni che hanno interessi finanziari nella produzione o nella combustione di combustibili fossili.

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