A volte ritornano… e fanno un danno maggiore.
Non è sicuramente un buon momento: i partiti sono sempre più liquidi, privi di progettualità e prigionieri di un Governo in cui le fila vengono tirate dagli interessi economici di cui il premier Draghi è espressione e interprete. Nessun dubbio può esserci al riguardo dopo le ripetute standing ovation riservategli dagli industriali all’incontro del 23 settembre con Confindustria, il cui presidente Carlo Bonomi è costantemente attestato sulla linea dello scontro duro verso il Sindacato e i lavoratori. Ma il momento è pessimo perché manca la voce e la forza dei lavoratori e dei vari segmenti sociali d’opposizione che non riescono a “fare squadra”, interessati più al proprio cortile che all’interesse generale. E questo momento è oggettivamente favorevole per far rientrare dalla finestra scelte impopolari, già espulse dalla porta negli scorsi anni, come il ritorno alle centrali nucleari.
Un breve preambolo.
Molte sono le analisi fatte sul Movimento No Tav per capire i percorsi che hanno permesso la costruzione di un movimento che da trent’anni si oppone alla costruzione di una infrastruttura ferroviaria, l’alta velocità tra Torino e Lione, quasi da subito obsoleta rispetto alla veloce trasformazione industriale che ha rivoluzionato tempi e modi del trasporto merci, e risibile rispetto all’inesistente traffico passeggeri tra le due città, peraltro già collegate da un valido sistema ferroviario. Linea obsoleta per il traffico merci e inesistenza del trasporto passeggeri sono ormai affermazioni consolidate che non hanno più bisogno di spiegazioni, e che sono riconosciute valide anche dalle lobby che però vogliono comunque realizzare la Torino-Lione, a prescindere dalla sua utilità, per non rinunciare alla torta dei finanziamenti pubblici ed europei. Le ragioni che hanno permesso e permettono questa resistenza sono molteplici ma una sicuramente ha avuto un valore maggiore: siamo partiti prima, nel senso che l’opposizione ha iniziato a organizzarsi da subito, alle prime avvisaglie di questo progetto che, ricordiamolo, è stato deciso sulla base degli interessi economici di lobby, torinesi e non, che “fiutavano” l’affare del secolo, quello dello scorso millennio.
Per questo è importante non sottovalutare, da subito, le continue esternazioni di Roberto Cingolani, ministro per la transizione ecologica, a favore del ritorno all’energia nucleare in Italia (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/09/13/riecco-il-nucleare/), accompagnate dalla dichiarazione del premier Draghi, che ritiene insufficiente il ricorso alle rinnovabili, e da vari articoli o editoriali dei media favorevoli alla riapertura di una scelta già bocciata dagli italiani in due occasioni. La prima volta nel 1987 con tre quesiti referendari, importanti perché spinsero per la chiusura delle quattro centrali operative in Italia: Trino, Caorso, Latina e Sessa Aurunca e bloccarono la nuova centrale nucleare di Montalto di Castro, di cui recentemente il Tar del Lazio ha ordinato all’Enel la demolizione. Questi tre referendum non erano però risolutivi perché non chiedevano l’abbandono della scelta nucleare ma mettevano dei paletti: il divieto allo Stato di imporsi e sostituirsi ai Comuni individuati per nuovi siti nucleari, l’abrogazione di contributi statali a favore di Comuni favorevoli alla presenza di centrali nucleari sul proprio territorio e l’impossibilità per l’Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari fuori dall’Italia. La seconda volta con il referendum del giugno 2011, quando fu respinta la volontà del Governo Berlusconi di costruire nuove centrali nucleari in Italia: votò il 57% degli aventi diritto, e il 94,50 si espresse contro il progetto.
Ma i referendum, se non sono accompagnati da una convinta mobilitazione, sono solo tappe di un percorso che può essere rovesciato: ad esempio nel 2011 stravinse il referendum sull’acqua, bocciando l’affidamento della gestione delle risorse idriche ai privati, ma quel referendum, alla faccia delle frasi vuote sul rispetto della volontà popolare, non è mai stato tenuto in considerazione. È bene quindi mobilitarsi da subito e non sottovalutare la questione nucleare, rispolverata proprio nei giorni in cui, in seguito al disastro atomico di Fukushima dell’11 marzo 2011, il Governo giapponese ha ufficializzato che rilascerà a breve nell’Oceano Pacifico un milione di tonnellate di acqua radioattiva, con gravissime conseguenze per l’ecosistema marino.
Restando in Italia, non si sa ancora, a distanza di decenni, come risolvere tecnicamente il problema delle scorie nucleari delle quattro centrali dismesse dopo il referendum del 1987.
Più che di un ritorno al nucleare sarebbe più saggio capire come uscirne definitivamente.