Il caro energia e i ritardi della transizione. Chi paga?

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La preoccupazione del Governo per il caro energia è ampiamente condivisa in un Paese dove 2,2 milioni di famiglie, l’8,7% del totale, soffre la povertà energetica, cioè ha difficoltà a pagare le bollette, a riscaldare o raffrescare la casa in modo accettabile (dati OIPE) e dove le piccole imprese subiscono più di altre gli effetti della dipendenza dalle fonti fossili di importazione, gas naturale in particolare.

Con il recente decreto legge contenente misure urgenti per «il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi» dell’energia, il Governo ha coerentemente rafforzato i bonus sociali per elettricità e gas, azzerando quasi gli aumenti per le famiglie meno abbienti, ma ha cercato anche di sterilizzare almeno in parte i rincari per tutti i tipi di consumo, domestici e piccole imprese (per i grandi consumatori esiste già un irrazionale sussidio che si scarica in una delle tante voci improprie delle bollette dei consumatori). Sussidiare le bollette delle famiglie e delle piccole imprese che affronterebbero con difficoltà gli investimenti necessari ad eliminare sprechi e inefficienze è una politica di equità sociale, oltre che una misura utile a impedire che il caro energia deprima la ripresa economica e dell’occupazione che si profila. Sterilizzare invece i rincari in modo indifferenziato a tutti i consumatori e le imprese, come il Governo ha deciso agendo sugli oneri di sistema e sull’Iva in bolletta, è una misura che avvantaggia soprattutto chi di energia ne consuma (e ne spreca) tanta e non aiuta le imprese a percepire i consumi energetici come fattore di costo comprimibile. In altre parole si depotenzia così la funzione del prezzo delle materie prime come indicatore di scarsità e dell’impronta ecologica e climatica delle fonti fossili. In fondo significa ignorare quali sono le cause della corsa dei prezzi e le poste in gioco, la dipendenza energetica e la sfida climatica.  

Il rilevante incremento delle tariffe di luce e gas non è dovuto in prima istanza alle politiche per la transizione ecologica (in larga parte di là da venire) o alle misure varate a Bruxelles con il “pacchetto clima”, come qualcuno ha cercato in queste settimane di sostenere. L’incremento del costo di generazione elettrica legato al meccanismo europeo di Emission Trade System, il costo per la CO2 emessa sostenuto dai grandi emettitori, centrali a carbone e gas in testa, equivale a circa il 20% dell’attuale balzo. L’80% dell’incremento è dovuto alla corsa del prezzo del gas naturale sui mercati internazionali, arrivato in questi giorni a quotare 70 €/MWh, ovvero 2,3 volte il picco registrato nel 2019, prima della pandemia, e 7 volte il minimo storico toccato durante la crisi del 2020. I motivi di questa corsa sono diversi, ma principalmente riconducibili a tre fattori: la velocità della ripresa economica post pandemia, soprattutto in Cina e resto dell’estremo oriente, e quindi il boom della domanda delle materie prime, quelle energetiche in primis; fattori contingenti come la necessità di ricostituire le scorte europee di gas dopo un lungo inverno e una serie di problemi tecnici e di manutenzione nelle infrastrutture di pompaggio e trasporto; infine i giochi di Putin, che con la Gazprom (fornitrice del 40% del fabbisogno europeo) usa l’offerta di gas per ammorbidire un’Europa giudicata troppo invadente nelle questioni politiche “domestiche”. Si tratta di una specie di tempesta perfetta che per qualche tempo manterrà elevato il prezzo del gas naturale, il principale combustibile che alimenta le centrali europee e che determina il costo marginale del Kwh distribuito nelle nostre case.

C’è chi sta anche peggio di noi, Regno Unito e Germania registrano incrementi del prezzo finale dell’energia superiori ai nostri, essendo anche questi paesi fortemente dipendenti dal gas naturale. Anche la Francia però, che copre il 70% del fabbisogno elettrico con le centrali nucleari, non riesce a difendersi dalla tempesta globale e subisce rincari di poco inferiori. Il problema francese sta nei rilevanti extra costi di manutenzione delle centrali per guai imprevisti e nei pesanti aggiornamenti imposti dalla Corte del Conti francese alle riserve finanziarie che EDF deve mantenere per garantire lo smantellamento futuro delle tante centrali. La Francia importa metano solo per un 10-20% del suo fabbisogno elettrico ma importa quote non trascurabili di energia elettrica dalla Germania, condividendone i relativi rincari. Insomma, con economie interconnesse e globalizzate non c’è difesa se non nella transizione ecologica dei sistemi economici ed energetici. Se i nostri paesi fossero meno dipendenti dalle importazioni di gas, se avessimo intrapreso per tempo la transizione energetica, ovvero più rinnovabili ed efficienza (edifici, trasporti e cicli produttivi), oggi saremmo almeno in parte al riparo dalle tempeste dei prezzi sui mercati internazionali. A loro volta surriscaldati da una domanda di gas sempre più forte.

Nel primi 8 mesi del 2021 il 38,8% della domanda di elettricità è stata soddisfatta in Italia da fonti rinnovabili, contro il 36,4% del 2019, anno pre Covid. Ma siamo assai lontani dagli obiettivi che il nostro Paese si è dato e che devono essere ancora aggiornati per soddisfare gli impegni presi in sede europea. In otto anni, dal 2014, consolidandosi gli effetti di una politica di compressione degli incentivi condotta in modo dissennato, il solare e l’eolico hanno conosciuto un aumento di produzione annua di soli 5,6 TWh, mentre ci si aspetta di arrivare ai 115 TWh entro il 2030 (Piano integrato energia e clima presentato a Bruxelles). Oggi produciamo circa 44 TWh/anno di elettricità da vento e sole (dato 2020) e dobbiamo quindi far crescere questa produzione, e i relativi impianti, moltiplicandola per 2,6 volte nei prossimi 10 anni! Il caro energia è anche la conseguenza dei ritardi, delle sottovalutazioni e delle opposizioni alla transizione, non il contrario.

Con il recente decreto legge il Governo Draghi ha stanziato 3,5 miliardi di euro, che si aggiungono agli 1,2 miliardi già stanziati nel precedente trimestre, finalizzati a sterilizzare gli aumenti in bolletta. Stanziamenti che dovranno essere ripetuti trimestre dopo trimestre fino a quando i prezzi non scenderanno di nuovo e fino a quando non sostituiremo più radicalmente il gas naturale con le rinnovabili (obiettivo 55% di rinnovabili al 2030 e neutralità carbonica al 2050, con fonti fossili solo in alcuni usi incomprimibili e comunque nei limiti dell’assorbimento naturale della CO2). Si tratta di una montagna di denaro impiegata per sostenere con la fiscalità generale una serie di costi e imposte finora addebitati in bolletta.

Oltre il 50% delle bollette degli italiani è costituita finora da imposte e “oneri di sistema” (tra cui troviamo cose serie come gli incentivi alle rinnovabili e il social bonus elettrico e cose curiose come il contributo per l’infinito smantellamento del vecchio nucleare, modesto ma ancora costoso, un’accisa a favore delle Ferrovie dello Stato, agevolazioni alle industrie energivore, quasi un disincentivo a investire in efficienza ecc.). Anche la Commissione Europea ha chiesto di eliminare dalle bollette le voci non direttamente correlate all’energia, spostandole sulla fiscalità generale. Un’azione di trasparenza circa il costo reale dell’energia (e degli sprechi) che può avere anche un effetto positivo di redistribuzione dei costi economici, ambientali e sociali. Effetto però che si realizza solo se la pressione fiscale è giusta, ovvero se si abbatte l’enorme evasione fiscale del Paese, e si ricostruisce una reale progressività dell’imposizione.

Vedremo nei prossimi mesi se la riforma fiscale su cui è impegnato il Governo Draghi saprà affrontare questi nodi. In caso contrario anche l’attuale forte rincaro dell’energia sarà pagato solo da chi le tasse le paga e non servirà da stimolo ‒ non auspicato ma comunque utile ‒ per chi deve investire nella transizione energetica.

Gli autori

Beppe Gamba

Beppe Gamba, studi in chimica ed economia ambientale, ha lavorato nell’industria chimica e successivamente nella pubblica amministrazione locale nel campo dei controlli e della tutela dell’ambiente e poi della pianificazione ambientale ed energetica. Per un decennio ha ricoperto ruoli politico amministrativi negli enti di area vasta; Co-fondatore del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, ne è stato il primo Presidente. Per oltre un decennio ha presieduto la Società AzzeroCO2, fondata da Legambiente, Kyoto Club e Istituto Ambiente Italia. Prosegue oggi la sua attività di consulente ambientale di imprese e organizzazioni pubbliche, collaborando anche con Legambiente e Kyoto Club.

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