I pesticidi, la tecnologia e l’“azienda organica”

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Il rapporto ISPRA sui Pesticidi nelle Acque, pubblicato a fine 2020, evidenzia una situazione molto preoccupante, ci dice il prof. Stefano Bocchi, docente di Agronomia all’Università Statale di Milano. Nelle nostre acque è presente un mix pericoloso di pesticidi, che superano in molti casi i limiti di legge. La presenza di pesticidi è un problema che riguarda tutti. Non soltanto perché è causa della moria di pesci e di altre specie acquatiche. È un problema perché i pesticidi vanno a toccare processi delicati e complessi provocando mutazioni e disfunzioni agli organismi acquatici (a causa dei cosiddetti interferenti endocrini), che poi si propagano su tutta la catena alimentare. Gli effetti sulla salute delle persone non sono necessariamente immediati ma possono emergere anche dopo molti anni.

A questa situazione così grave l’agro-industria come reagisce? Proponendo nuove soluzioni tecnologiche che permettano di ridurre il consumo complessivo di pesticidi. È il suo approccio classico: quello che, ad esempio, all’interno del Piano Marshall introduceva il concetto di Green Revolution. Basato su un ottimismo tecnologico ante-litteram, prevedeva la fornitura di un pacchetto chiavi in mano di strumenti per un’agricoltura moderna. Il punto focale era la coltura, che doveva assicurare una resa produttiva quanto più elevata possibile in una logica di massimizzazione del profitto. Quell’ottimismo ritorna ancora oggi, nella convinzione, smentita dai fatti e da studi come quelli dell’ISPRA, che la tecnologia rappresenti la soluzione a tutti i nostri mali. In questo approccio in realtà il “peccato originale” sta proprio nell’essersi focalizzati sulla coltura, perdendo di vista il concetto di azienda agricola, intesa come organismo vivente complesso.

Fortunatamente ‒ ci racconta sempre il prof. Bocchi ‒ è stato recuperato e rilanciato un nuovo concetto di organic farming. Si tratta di un approccio che propone di recuperare la dimensione olistica dell’azienda agricola, come realtà articolata che restituisce alla comunità e alle generazioni presenti e future una serie di servizi. Secondo questo modello, l’azienda agricola, oltre a produrre beni, fornisce anche una serie di servizi ecosistemici, quali la regolamentazione del ciclo degli elementi (acqua, appunto, ma anche carbonio, azoto, ossigeno etc.). Ma fornisce anche un servizio culturale perché cura il paesaggio e, attraverso la sua cura, consente un recupero del benessere collettivo e individuale. E soprattutto, assicura una piena rigenerazione delle risorse, in un concetto di eco-sostenibilità a beneficio delle generazioni presenti e future.

L’“azienda organica” è un’azienda che pratica la rotazione delle culture, cura le rogge, le siepi e i filari, l’agro-forestazione e tutela la biodiversità. Anche in un’azienda di questo tipo è possibile trovare tracce di pesticidi nell’acqua utilizzata, in quanto l’acqua può portare con sé sostanze utilizzate da altre aziende del territorio. Ma, grazie a questo approccio, viene attivata al suo interno una serie di misure che permettono di neutralizzare la pericolosità di questi inquinanti e di creare una specie di anticorpi.

Stupisce quanto sia distante il concetto di organic farming dalla traduzione italiana di agricoltura biologica. Traduzione nella quale si compie un doppio salto all’indietro, oltre che un profondo impoverimento del suo approccio complessivo: si perde di vista l’azienda e si appiattisce tutto alla semplice assenza di sostanze di sintesi. Ma i segnali positivi cominciano a emergere con forza. Innanzitutto la stessa Unione Europea ha riconosciuto l’importanza di questo approccio olistico all’agricoltura, iniziando a finanziare alcuni progetti in tal senso, all’interno del progetto “Horizon 2020”, anche se si tratta ancora di progetti limitati nelle risorse, che vanno sicuramente rafforzati. L’altro segnale positivo importante viene dagli stessi agricoltori. La filiera agroalimentare è molto lunga, dalla produzione al consumo. All’interno di questa filiera gli agricoltori, anche per mancanza di organizzazione, finora sono riusciti a raccogliere solo una piccola parte dei guadagni complessivi. Ma negli ultimi 20 anni, ovvero in tempi estremamente recenti tenendo conto della durata di cambiamenti di questo tipo, qualcosa sta cambiando. Rinascono le cooperative, i distretti e i bio-distretti. Soltanto Milano ha ben cinque distretti agricoli. Iniziano a svilupparsi delle forme di collaborazione tra gli agricoltori e i consumatori.

Concludiamo l’intervista al prof. Bocchi, con un invito: quello di andare a visitare le aziende che applicano questo approccio olistico, che evidentemente non significa solo produzione biologica, per rendersi conto visivamente della differenza abissale rispetto all’agricoltura convenzionale.

L’articolo è pubblicato anche su z3xmi.it

Gli autori

Giovanni Costantini

Giovanni Costantini, componente della redazione di Z3XMI, giornale online di Milano, si occupa di giustizia sociale, ecologia e lotta alla criminalità organizzata.

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