L’Australia, tra incendi e disinformazione

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In questo pazzo mondo che da tempo si è messo a camminare a testa in giù, può anche toccarci la difesa d’ufficio di un esercito di presunti “piromani assassini” sbattuti come mostri sulle prime pagine di mezzo mondo, pur di dare sbrigativa ed esaustiva origine dolosa all’inferno australiano. In questo costante rumore di fondo a cui si sta riducendo l’informazione globale, la bufala della retata di massa dei responsabili dei roghi è rimbalzata da un sito all’altro con velocità supersonica, sorretto da quel vero e proprio network planetario fatto di negazionisti climatici e governi affini, trovando spazio anche da noi su molti blog, siti e giornali ad ampia diffusione. Manco a dirlo, i filo-governativi media australiani, ancora una volta, si sono distinti per la loro incessante opera di copertura e depistaggio, a danno dell’opinione pubblica interna e internazionale.

In realtà, si apprende dalle fonti ufficiali che gli arresti, da ottobre in poi, non sono 183 ma 24 e soprattutto gli arrestati non sono gli autori materiali dei roghi, che hanno causato la morte di ben 27 persone e un eccidio di mezzo miliardo di animali, ma sono accusati genericamente di violazioni di norme correlate agli incendi boschivi (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2020/01/10/laustralia-brucia-non-per-caso/). D’altra parte, il racconto imbastito dai media e dai negazionisti, per avere una sua verosimiglianza, in proporzione all’entità della catastrofe, doveva individuare centinaia di protagonisti, in veste di cattivi, cosa che si è provata a fare puntualmente.

Lo scenario in cui si è consumato l’ennesimo scempio informativo è quello di un governo australiano incurante dell’allarme lanciato, per tempo questa volta, dai principali centri di ricerca del Paese per una catastrofe annunciata, vuoi per le condizioni climatiche estreme e vuoi per una siccità eccezionale che andava avanti da tre anni e che ne ha rappresentato in qualche modo il triste prologo. Neppure le fantasie distopiche più audaci potevano immaginare scene come quelle che quotidianamente si registrano nel centro di Sidney, dove da settimane i cittadini sono costretti a indossare mascherine antifumo e a farle indossare ai loro bambini per consentirne i giochi nel cortile di casa.

D’altronde come biasimare la ferrea coerenza di un governo presieduto da Scott Morrison che, da primo esportatore mondiale di carbone continua a negare imperterrito, sostenuto dal suo potente amico Murdoch, i cambiamenti climatici di origine antropica, disimpegnandosi nel contempo da ogni programma internazionale di riduzione dei gas serra? Dopo tutto i primati negativi non si ottengono per caso. Il Climate Change Performance Index (CCPI 2020) ha di recente assegnato all’Australia il punteggio peggiore in assoluto nella valutazione della politica climatica. Un Paese, fra l’altro, tra i primi 20 più ricchi al mondo, che può contare su un corpo di vigili del fuoco costituito da soli volontari che, per giunta, protestano da settimane per una penosa vicenda di mancati rimborsi governativi.

In circostanze simili, la via di fuga dalle responsabilità è individuare un capro espiatorio e costruirci sopra un bel racconto a suo modo esemplare. Ed è sempre una buona regola, almeno da quando esistono gli arcana imperi del potere, dare un volto e soprattutto un nome ‒ una schiera di piromani in questo caso ‒ in pasto a una popolazione esasperata, magari aggiungendo, in quell’elenco di proscritti, tantissimi giovani, quasi in sfregio al movimento del Friday for future. La ragione strategica è però un’altra, risiede nel fornire una consistenza dolosa al fenomeno, provando a disarmare quel pensiero critico emergente impegnato a ricercarne le cause remote, per spiegare il livello di intensità e la durata di quello che è a tutti gli effetti un teatro di guerra.

Che lo vogliano o meno il premier Scott Morrison e i negazionisti di tutto il mondo, il responso è che le temperature stanno continuando a salire sul pianeta a ritmo vertiginoso, sfiorando, come ha ricordato di recente il climatologo Antonello Pasini, i 2 gradi sulle terre emerse nell’ultimo secolo e di conseguenza la crisi climatica è in atto. È probabile che in Australia ad accendere la miccia sia stato un insieme di fattori, in primis fulmini e tralicci elettrici divelti per le folte raffiche di vento ad oltre i 100 km/h. E questa volta non c’era, a porre rimedio, il popolo aborigeno (i custodi della terra), decimato ed espropriato da un genocidio plurisecolare. Citati nei libri di storia e di antropologia, questi maestri nella gestione degli incendi, hanno praticato per secoli la sapiente arte di incendi piccoli e controllati per togliere combustibili nel sottobosco, per la sua secchezza incombente, e scongiurare così eventi più catastrofici.

Dopo gli incendi in Siberia e Alaska, con la solita inerzia mostrata dai governi, è toccato all’Australia che, da sempre giocando un ruolo nell’immaginario collettivo di paradiso futuro, si ritrova suo malgrado a recitarne uno, ancora simbolico, questa volta in chiave distopica. Il futuro del mondo appare dai milioni di ettari che stanno bruciando da mesi nell’emisfero australe sempre più un inferno.

Gli autori

Salvatore Bianco

Salvatore Bianco, già insegnante di storia e filosofia e poi funzionario presso un ministero, attualmente collabora con la CGIL di Bologna.

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