L’industria dello sci e la miopia di chi governa

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Nei giorni 4 e 5 gennaio si sono svolti a Zagabria due slalom della coppa del mondo di sci. La situazione era surreale: una pista bianca che si snodava in un paesaggio desolatamente brullo. Un commentatore affermava che non era stato sufficiente neppure l’innevamento programmato, ma che per innevare la pista si era usato un nuovo macchinario che spara letteralmente ghiaccio. Beninteso, non è la prima volta che si svolge una gara di sci su una pista con neve finta. Drammatico è che oggi, gennaio 2020, si pretenda di organizzare delle gare a seicento metri di altitudine. Dovrebbe anche esserci un limite al business is business.

E invece non c’è limite agli affari così come non c’è limite al delirio di onnipotenza umano, che prima crea le condizioni per il cambiamento climatico e poi pretende di potersi comportare come se esso non esistesse. Producendo neve finta, e grazie ad essa addirittura estendendo i collegamenti scioviari, come si pensa di fare a Cortina, sfortunatamente per noi assegnataria dei campionati mondiali e delle olimpiadi invernali.

Anni fa mi feci promotore di un progetto per catalogare tutti gli impianti scioviari della provincia di Torino che erano stati abbandonati negli anni. La maggior parte per la scarsa redditività, in quanto la neve ha latitato ogni anno di più, oppure abbondanti nevicate sono state vanificate dalle alte temperature (non definiamole più abnormi). Fu un progetto che venne ripreso anche da Legambiente, citato da Paolo Rumiz e recentemente ripreso da The Guardian. Eppure, a dispetto di ogni logica, alcuni di quegli impianti negli anni sono stati ripristinati, proprio grazie all’innevamento artificiale, che offre la pia illusione che lo sci possa proseguire in eterno. E comunque si continuano a gettare soldi pubblici in progetti che – già si può prevedere a priori – saranno fallimentari.

Negli stessi giorni in cui si svolgevano le gare a Zagabria, il quotidiano La Stampa ha diffuso un video, realizzato da un drone, degli impianti di Santo Stefano d’Aveto in Liguria, desolatamente senza neve. Negli anni Novanta la stazione era fallita, eppure è stata rifinanziata nel 2008 e nel 2010, inaugurando addirittura un ampliamento. Lo stesso sta avvenendo in un’altra zona dell’Appennino, il Monte Catria, nelle Marche.

È una follia continuare a pompare un’industria che, coerentemente con il riscaldamento globale, è destinata negli anni a ridursi e forse addirittura a scomparire: basti pensare che in Svizzera hanno coperto con teli bianchi il ghiacciaio del Rodano per rallentarne lo scioglimento. Ma, nel contempo, pompare lo sci è sintomo di quella visione statica della politica che non permette a chi governa la cosa pubblica di adeguarsi ai cambiamenti e di trovare soluzioni ragionevoli per il futuro. Spesso dico che i governanti sono coloro che fanno con i soldi degli amministrati quello che non farebbero mai se i soldi fossero loro. Lo sci ne è un esempio.

Gli autori

Fabio Balocco

Fabio Balocco, nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (in quiescenza), ma la sua passione è, da sempre, la difesa dell’ambiente, in particolare montano. Ha collaborato, tra l’altro, con “La Rivista della Montagna”, “Alp”, “Meridiani Montagne”, “Montagnard”. Ha scritto con altri autori: "Piste o peste"; "Disastro autostrada"; "Torino. Oltre le apparenze"; "Verde clandestino"; "Loro e noi. Storie di umani e altri animali"; "Il mare privato". Come unico autore: "Regole minime per sopravvivere"; “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino”; "Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni"; "Per gioco. Voci e numeri del gioco d'azzardo". Collabora dal 2011, in qualità di blogger in campo ambientale e sociale, con Il Fatto Quotidiano.

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