Quadro generale
Un dato dovrebbe bastare per rappresentare in modo inequivocabile l’insostenibilità sociale del traffico autoveicolare: 3.700 morti al giorno a livello globale per non parlare dei feriti. A mettere sul piatto della politica questi numeri da bollettino di guerra è l’OMS nel suo “Global Status Report on Road Safety 2018”. Sono numeri globali che sui feriti arrivano a coinvolgere circa 50 milioni di persone e la cosa che più impressiona è che tra i 5 e i 29 anni questa causa di morte è la prima in assoluto. L’ultimo rapporto dell’OMS non fa altro che ribadire, dati alla mano, una situazione molto critica perdurante da almeno due decenni e che la politica continua ad ignorare, paralizzata dal culto intoccabile dell’auto privata.
I dati OMS comprendono l’ambito urbano ed extra urbano ma la città, purtroppo, la fa da padrona e a farne le spese sono le fasce più deboli come gli anziani i disabili e i bambini. Le nostre città sono talmente insicure che i dati del CNR ( il settore che si occupa della ricerca sulla città dei bambini diretto un tempo da Tonucci) ci indicano un indice di autonomia nella mobilità da parte dei bambini sotto i 12 anni tra la più bassa d’Europa. Non c’è una sicurezza oggettiva e quella percepita dagli utenti della strada è ancora minore, se poi a questo sommiamo una dipendenza cronica dall’auto privata, spesso giustificata dall’inefficienza del Trasporto pubblico locale, allora l’idea di una città a misura di bambini e quindi a misura d’uomo è difficile da immaginare. Si iniziò a parlare della necessità di modificare l’insostenibilità della mobilità urbana già con le prime domeniche ecologiche ideate dall’ex ministro dell’ambiente Edo Ronchi, una bella iniziativa che sotto diverse forme è durata per molti anni.
La situazione dell’inquinamento da traffico veicolare non è migliorata di molto nonostante gli impegni che seguirono a quella prima intuizione del ministro Ronchi. Dal 2000 si sono susseguite molte misure legislative e finanziamenti mirati da parte del Ministero delle Infrastrutture e di quello all’Ambiente per incentivare la rottamazione del parco veicoli più inquinante o per promuovere la ciclabilità e la pedonalizzazione. Dal 2017 con decreto a firma dell’ex ministro Delrio sono diventati obbligatori i PUMS (Piani Urbani per la Mobilità Sostenibile) per le città che in forma aggregata o singolarmente superano i 100 mila abitanti. Uno strumento, quest’ultimo, che dovrebbe costringere a una pianificazione a 360 gradi di tutte le misure che concorrono a rendere le nostre città più sostenibili dal punto di vista della mobilità quotidiana.
Purtroppo, come già accennato, a cambiare deve essere il modello culturale che è alla base della nostra mobilità “insostenibile” e cioè la dipendenza psicologica dall’auto privata. Anche l’attuale Governo, a parte qualche incentivo tampone con alcuni milioni di euro messi a disposizione dal Ministero dell’Ambiente, non ha messo in campo nessuna misura strutturale e di lungo respiro che ci possa far sperare di raggiungere l’obiettivo, in teoria vincolante su scala internazionale, di “decarbonizzazione” al 2050 con il settore dei trasporti che incide in maniera significativa sull’emissione dei gas climalteranti. La richiesta del mondo ambientalista è di fare molto di più soprattutto passando alla trazione elettrica, che però, come sostengono le stesse associazioni e come specificherò meglio più avanti, deve assolutamente essere abbinata a una riduzione significativa del traffico privato: io dico alla riduzione drastica e quasi residuale.
Cosa è davvero la mobilità sostenibile?
Se vogliamo davvero parlare della “città ecologica“ la riflessione va spostata in avanti rispetto alle politiche, alle norme e ai finanziamenti messi in campo fino ad oggi su scala nazionale e regionale. Bisognerebbe ripartire dai dati, sempre ignorati, sfornati dall’OMS da più di un decennio e che evidenziano la necessità di interventi radicali che non riguardano solo il ricambio del parco veicoli per sostituirlo con uno più ecologico composto da motori ibridi, elettrici, ecc, ma soprattutto la riduzione stessa delle auto private in circolazione per lasciare spazio alla bici e alla mobilità pedonale. La prof.ssa Racioppi, che per molti anni è stata responsabile OMS per la mobilità sostenibile, ha sempre sottolineato come tutti gli studi concordassero nel ritenere comunque più salutare muoversi a piedi o in bici invece che in auto, anche in quei contesti urbani dove il livello dell’inquinamento avesse raggiunto i limiti di legge.
Anche le ultime campagne della “ Settimana europea della mobilità sostenibile” che si tiene ogni anno dal 16 al 22 di settembre, puntano con decisione alla promozione dell’andare a piedi, in bici o con il TPL (Trasporto pubblico locale) e molti comuni aderiscono con apparente convinzione alla campagna ma poi in concreto poco si fa rispetto ad esperienze virtuose ed esemplari come quella della cittadina spagnola di Pontedera. In questa città di circa 80 mila abitanti, la pedonalizzazione è talmente spinta che consente ai bambini di muoversi in piena autonomia e in sicurezza nel percorso casa-scuola o per incontrare gli amici nel proprio quartiere. La riduzione graduale ma costante del mezzo privato ( in Italia quasi tutte le città sono oltre le 60 auto per cento abitanti) consentirebbe una riorganizzazione della città stessa e cambierebbe in modo radicale il nostro stile di vita. Una città camminabile, su cui alcuni comuni hanno approvato atti deliberativi di Giunta o di Consiglio, oltre a permettere quell’attività motoria che determina oggettivi vantaggi per la salute, consente di riprendere la consapevolezza del proprio spazio urbano troppo spesso misconosciuto perché attraversato con l’auto privata o con il trasporto pubblico e quindi ad un ritmo troppo veloce.
Muoversi a piedi vuol dire riscoprire i negozi di prossimità, vie e piazze ricche di volti e quindi di un’umanità nascosta o dimenticata. Come Federtrek fin dal 2012 abbiamo ideato la Giornata Nazionale del Camminare con l’idea di sensibilizzare con determinazione, cittadini e istituzioni, sulla valenza fondamentale della mobilità pedonale: la forma più radicale e concreta di “mobilità dolce”. Fin dal primo anno le adesioni alla Giornata del Camminare sono state molto numerose e qualificate con una distribuzione omogenea su scala nazionale. Il successo delle adesioni è motivato da una sensibilità di fondo diffusa che però rimane ancora troppo in superficie, limitata a scadenze di sensibilizzazione come la nostra, mentre c’è tantissimo da fare per cambiare le abitudini dei cittadini e soprattutto le politiche delle istituzioni locali.
Sono troppo poche le amministrazioni comunali che provano a fare un salto di qualità dall’evento annuale o mensile verso interventi strutturali da inserire nei Piani del Traffico o ancora meglio dei Piani per la Mobilità Sostenibile. Anche quando nei PUMS troviamo inserite misure a favore della pedonalizzazione non viene poi garantita la concreta realizzazione delle misure stesse per una serie complessa di ragioni che hanno alla base il limite culturale di cui ho fatto cenno. Quando parlo di interventi strutturali non mi riferisco solo a progetti di pedonalizzazione di qualche via o piazza o alla realizzazione di piste ciclabili in sede propria ma, in particolar modo, alla pianificazione di politiche a favore della mobilità dolce anche in situazioni di promiscuità come avviene nelle città dove le famose “ zone 30” sono diffuse dal centro alle periferie. È dimostrato scientificamente che una reale moderazione della velocità, abbinata alla decongestione del traffico abbatte gli inquinanti e riduce al minimo gli incidenti in ambito urbano.
Un altro elemento importante che può contribuire davvero a rendere più vivibili le nostre città è una seria politica di gestione del verde a cui le città sopra i 15 mila abitanti dovrebbero dedicarsi in modo serio come prescritto dalla legge n. 10 del 2013 che obbliga i sindaci, tra le altre cose, a elaborare un bilancio arboreo. Ci sono studi consolidati di livello internazionale, che dimostrano come città a forte pedonalizzazione e ciclabilità sono ancora più “ ecologiche” e sane se gli amministratori e i comitati di cittadini si prendono cura della gestione del verde urbano. Anche su questo fronte c’è molto da fare perché spesso il patrimonio arboreo viene gestito male sia nelle fasi della potatura che in quello degli abbattimenti e le nuove piantumazioni non sempre tengono conto delle buone pratiche, nella scelta delle piante più adatte e nella messa a dimora in spazi idonei. Sul fronte della sensibilità collettiva, è triste sottolineare che in molte situazioni ci sono comitati di cittadini che richiedono il taglio degli alberi perché magari ne sono caduti alcuni recando danno a persone e cose.
Gli alberi oltre ad assorbire alcuni inquinanti sono molto importanti per la mitigazione e regolazione delle temperature e dell’umidità. Va considerato che con l’innalzamento frequente delle temperature, nel periodo estivo, la presenza di una sufficiente e diffusa copertura arborea permette la fruizione dello spazio urbano anche alle persone più anziane o più deboli: per questo aspetto ci vengono incontro le linee guida dell’OMS che si affida ai più importanti studi di settore. Una preoccupazione abbastanza diffusa è quella delle famose “isole di calore” che si vengono a determinare con temperature molto elevate nelle zone urbanizzate e con superfici in asfalto o cemento. Per mitigare questo effetto, così dannoso per la salute, uno degli interventi più importanti si ottiene attraverso un incremento diffuso del verde urbano, in centro come in periferia e nelle scelte più avanzate con il posizionamento di un manto stradale che assorbe meno calore ed energia. La sostituzione del manto stradale richiede una disponibilità di risorse finanziarie molto importanti e quindi sarà un vero miracolo trovare comuni, anche quelli più ricchi e organizzati, che si impegneranno in questa direzione. Quindi bisognerà incentivare le soluzioni più economiche e con una più alta sostenibilità ambientale: incrementare le coperture arboree che creano ombra e migliorano il confort termico nelle città.
Il ruolo delle associazioni e dei comitati
Le adesioni alla Giornata Nazionale del Camminare ci narrano del ruolo fondamentale di associazioni e comitati locali per fare da pungolo alle amministrazioni comunali per costringerle a mettere in campo azioni sempre più concrete e durature, rispetto a quelle che vengono pianificate ed effettivamente realizzate. Ci sono amministrazioni comunali che hanno fatto davvero tanto per la mobilità dolce, basti pensare a Bolzano che ha sviluppato una vera rete ciclabile, sul modello delle migliori esperienze europee, e in generale l’uso, anche promiscuo, della due ruote ecologica ma a rimanere una sorta di cenerentola è la modalità degli spostamenti a piedi. La bicicletta, soprattutto con la diffusione sempre più vasta di quella a pedalata assistita, ha una grande potenzialità di significativa diffusione anche su percorsi cittadini più impegnativi e per categorie di persone poco allenate: senza illudersi di arrivare velocemente a coprire il gap con i numeri delle città nord-europee ci si accontenta di un incremento graduale.
La mobilità pedonale, a parte il piacere di poter camminare con tranquillità godendosi lo spazio urbano chiuso alle auto e agli altri veicoli a motore, non è presa in considerazione come modalità di spostamento quotidiano per i percorsi casa-scuola, casa-lavoro o per le altre attività che si svolgono nel quartiere e quindi da considerare come luoghi di prossimità. Ci sono per fortuna comitati di quartiere che provano a ridisegnare il proprio spazio urbano partendo dalle esigenze dei bambini come l’attivissima associazione di Milano “Genitori Antismog” impegnata nella promozione di una città a misura di bambini. Oltre alle attività di monitoraggio quotidiana di quelli che sono i limiti di una mobilità urbana ancora molto insostenibile, l’associazione organizza da molti anni il gioco/concorso “Siamo nati per camminare” al quale per il 2018-19 hanno partecipato 55 scuole e circa 15.000 bambini.
Sempre a Milano, sulla spinta delle associazioni di settore, si era arrivati a misure come quella del car free davanti alle scuole nella mezz’ora che precede l’entrata dei bambini e in quella che ne segue l’uscita. Tale provvedimento ha un alto valore culturale e di educazione civica sia per i genitori che per i bambini perché determina una sicurezza assoluta (spesso si sono verificati incidenti gravi fuori le scuole per l’eccessiva presenza di macchine) e libera spazio per un ingresso/uscita gioiosi dei bambini nei plessi scolastici. Altra iniziativa molto interessante, che purtroppo non è mai decollata su vasta scala, è quella del “pedibus” che prevede di organizzare l’arrivo a scuola a piedi per gruppi di bambini con varie fermate lungo un percorso che mediamente è di circa 2 km. In questo modo i genitori che aderiscono al “pedibus” possono evitare di accompagnare in tutta fretta i figli a scuola e in più lasciano vivere ai loro figli una bella esperienza di conoscenza collettiva e gioiosa dello spazio urbano attraversato nel percorso casa scuola.
La vera città ecologica
Potremmo dire che le città del futuro o saranno ecologiche o non saranno. Non si tratta di prevedere scenari apocalittici, di morte totale, per la città che non saprà organizzarsi per diventare più a misura delle persone, ma sicuramente la qualità della vita per i residenti sarà sempre peggiore. La transizione verso la città ecologica presuppone una riorganizzazione degli spazi urbani tale da consentire la “mobilità dolce” dal centro alla periferia ma questo è solo uno dei settori dove la trasformazione dovrà essere radicale. Gli attuali processi di trasformazione urbana, quella che i sociologi definiscono come “Gentrification”, non aiuta la realizzazione della “città ecologica” intesa come luogo “sano” dal punto di vista ambientale superando le gravi differenze tra quartieri di prima e terza categoria.
La città ecologica deve contemplare una riorganizzazione complessiva dei servizi rendendo prossimi quelli decentrabili mentre per gli altri il collegamento deve essere garantito con il TPL a “emissioni zero”. Le automobili private andrebbero ridotte al minimo e utilizzate con la consapevolezza che al centro ci sono sempre i pedoni (mentre scrivo è arrivata una sentenza della Cassazione che stabilisce, in modo inequivocabile, il rispetto pieno del pedone anche nei casi in cui da parte di quest’ultimo attraversasse le strisce in modo distratto) e in seconda battuta i ciclisti.
Insomma una città ecologica è uno spazio nuovo dove sperimentare quell’umanità inedita tanto cara ad Ernesto Balducci e che sposa pienamente i valori dell’ecologia integrale della Laudato Si’. Per fare questo c’è bisogno di tanto coraggio e non abbandonare mai la dimensione delle “ Utopie Concrete”: riprendendo il titolo dello storico Festival di Città di Castello.
L’articolo è pubblicato in “Testimonianze” (fascicolo monografico “La città ecologica”) n. 525-527