Antropocene o Finanziocene? L’umanità, la finanza e la catastrofe ambientale

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Secondo la definizione che va per la maggiore Antropocene è l’era geologica in cui l’attività umana è diventata il principale fattore di trasformazione della biosfera con conseguenze devastanti sul pianeta.

Il concetto, in realtà, contiene tre equivoci. Il primo è relativo alla datazione dell’Antropocene, termine coniato negli anni Ottanta dal biologo Eugene F. Stoermer e diffuso nel 2000 dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen nel libro Benvenuti nell’Antropocene: i due scienziati, così come l’interpretazione prevalente, la fanno risalire alla prima rivoluzione industriale, mentre diversi studiosi ritengono debba collocarsi nel periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, ovvero da quando la CO2 si è impennata. Il secondo equivoco sta nella confusione tra cause (economico-politiche) ed effetti (ambientali). Il terzo è quello più insidioso, nonché più politico, e riguarda l’attribuzione all’umanità in generale e al suo consumo delle risorse la causa dell’imminente catastrofe ambientale.

Il concetto di Antropocene assume, in particolare, l’umanità come una totalità omogenea, operando così una mistificazione, perché non è vero che tutta l’umanità è stata ed è responsabile allo stesso modo dell’aumento delle emissioni di gas serra. Esso rischia pertanto di rappresentare una visione comoda e funzionale al sistema, che segnala il problema ma nega la disuguaglianza e la violenza multi-specie del capitalismo e suggerisce che dei problemi creati dal capitale siano in realtà responsabili tutti gli umani.

La risposta di Moore (Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nell’era della crisi planetaria, 2017) è allora quella di politicizzare alla radice il tema del cambiamento climatico e dell’azione geologica dell’uomo: «Il cambiamento climatico non è il risultato dell’azione umana in astratto – l’anthropos – bensì la conseguenza più evidente di secoli di dominio del capitale. Il cambiamento climatico è capitalogenico». Non Antropocene, dunque, ma Capitalocene. Con le parole dell’autore: «il Capitalocene mostra il deterioramento della natura come espressione specifica dell’organizzazione capitalistica del lavoro» e, assieme, il “lavoro” come «un processo geo-ecologico molteplice e multi-specista».

La critica di Moore muove da un’idea di natura esterna ai processi di “valorizzazione umana”, per cui da un lato, all’inizio del processo economico, l’ambiente è concepito come risorsa infinita e gratuita, mentre dall’altro, alla fine di tale processo, lo stesso ambiente funziona come una specie di immensa discarica per rifiuti a costo zero. Occorre decolonizzare il concetto di crescita infinita in un pianeta finito e di un sistema in cui soltanto consumando creiamo benessere, lavoro, sicurezza non controllando i prodotti di scarto. Prodotti di scarto che non sono solo rifiuti, ma anche progressive disparità: lo 0,8% degli abitanti del pianeta controlla oltre il 43% delle risorse. Il problema è, in realtà etico, politico, sociale, culturale e l’Antropocene è il sintomo, non la causa dei problemi del pianeta (e della società dei consumi).

Ma di quale capitale stiamo parlando oggi? Un capitale legato alla produzione di merci tangibili e alla forza-lavoro umana o, ormai, mera finanza virtuale e speculativa? Occorre superare l’analisi tradizionale per leggere l’attualità e tentare di correggerla. Perché, come noto, il denaro e il profitto non nascono più, se non in minima parte, dalle tipiche attività capitalistiche e dai rapporti capitale-lavoro, ma da dove il denaro è in grado di generare altro denaro senza produrre più nulla di tangibile e utilizzabile dalle persone ma compromettendo ugualmente l’ambiente, i diritti, l’equità. Quando i derivati ammontano a oltre 12 volte il PIL mondiale, qualcosa dovrebbe interrogarci.

Eticizzare la finanza non è un ossimoro e fa bene anche all’ambiente: è il primo passo per ridurre gli effetti ormai devastanti sul pianeta. L’organizzazione capitalistica ha spersonalizzato ogni rapporto produttivo e allontanato i gangli decisionali: gli azionisti non sono persone, ma hedge funds. Gli scambi borsistici sono ormai per più della metà operazioni di durata inferiore alla settimana.

Ma anche noi possiamo fare qualcosa. Scioperare per il clima e/o invitare i Governi a fare qualcosa non basta, se poi non partiamo dai nostri comportamenti individuali che riguardano anche l’utilizzo del denaro. Quando depositi i tuoi risparmi e non sai più che fine faranno, inquini e danneggi l’ambiente come quando vai in auto o riscaldi la tua casa. Occorre recuperare una dimensione “umana” e relazionale del denaro, la sua funzione di strumento di scambio e non di unità di valore in sé. Il nodo culturale da affrontare è quello della pratica costante di ricercare la sicurezza nel possesso e nell’accumulazione di denaro anziché nella creazione e nel consolidamento di relazioni solidali e in un ambiente salubre. Un denaro che non si ferma in poche mani ma che circola per il benessere della comunità, che è anche quello delle singole persone che ne fanno parte, ritorna a esercitare la sua funzione fondamentale di agevolatore di scambi di beni e servizi. La nascita negli ultimi anni, anche nel nostro Paese, di diverse esperienze di monete complementari e sociali conferma la necessità di cambiare rotta partendo dal nostro rapporto col denaro, decolonizzandone il pervicace immaginario. La saggezza dei nativi americani ci aiuta: quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.

Se il Capitalocene politicizza il cambiamento climatico che l’Antropocene misura senza andare alle cause, il Finanziocene coglie quella che non è più una semplice sfumatura: se progressivamente perdono centralità il capitalista imprenditore, la forza lavoro, le merci prodotte e i loro rapporti seppur conflittuali, il focus si sposta sul capitalismo finanziario e sulla virtualità del contesto, anche tecnologico, in cui opera. Non affrontarlo fa venir meno la possibilità di incidere non solo sul pianeta, ma sulle nostre stesse vite.

Gli autori

Francesco Fantuzzi

Francesco Fantuzzi, animatore del gruppo civico Reggio Città Aperta, consigliere della cooperativa di finanza mutualistica e solidale Mag6, è promotore di iniziative di partecipazione civica culturale e ambientalista nel settore dei beni comuni. Ha scritto da ultimo, con Franco Motta, "Dentro la zona rossa. Il virus, il tempo, il potere" (Sensibili alle foglie, 2020).

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One Comment on “Antropocene o Finanziocene? L’umanità, la finanza e la catastrofe ambientale”

  1. La finanziarizzazione dell’economia è la fase finale di ogni processo di accumulazione; è già successo per esempio con l’Olanda prima e la Gran Bretagna poi, oggi con gli USA. In Cina il processo di accumulazione sta marciando veloce e arriverà presto ai limiti possibili di crescita, innescando quindi un nuovo processo di finaziarizzazione.
    È una caratteristica irrisolvibile di un sistema che vede solo nel profitto il filo conduttore dell’economia e della società. Occorre una rivoluzione culturale copernicana che ponga gli esseri viventi al centro dell’attenzione e rimetta l’economia al suo posto di strumento di convivenza.
    Forse occorrerebbe una rivoluzione, meglio se nonviolenta.

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