«Nelle isole di Lampedusa e Linosa saranno vietati la vendita e l’utilizzo di contenitori e stoviglie monouso non biodegradabili e saranno vietati gli shopper, i sacchetti per asporto merci in polietilene. Abbiamo deciso di adottare questo provvedimento per diversi motivi: ci sono disposizioni comunitarie in questa direzione, e soprattutto c’è la necessità di facilitare la raccolta differenziata e lo smaltimento dei rifiuti, e di limitare l’inquinamento da plastiche del nostro mare, che sta avendo pesanti ripercussioni anche sulla fauna marina e di conseguenza sulle attività legate alla pesca». Parola di sindaco.
L’annuncio – ché di annuncio, per ora, si tratta, posto che la prevista ordinanza sindacale entrerà in vigore solo dopo la stagione estiva – è stato dato a Palermo, durante un convegno sulla pesca, dal sindaco Martello che ha aggiunto: «Capisco che per residenti, turisti, attività commerciali e artigianali sarà una “piccola rivoluzione” ma è un provvedimento necessario: tutti noi dobbiamo imparare ad adottare nuove abitudini quotidiane per rispettare l’ambiente e migliorare la qualità della vita».
La notizia ha avuto un primo importante effetto: quello di richiamare l’attenzione sulla situazione insostenibile dei nostri mari e, in particolare, su quella del Mar Mediterraneo, più pregiudicata di ogni altra.
«Come potrebbe essere altrimenti – sostiene la fisica Maria Rita D’Orsogna in un recente scritto su Comune-info – visto che l’uomo continua a produrre, usare e gettare via plastica non biodegradabile a ritmi insostenibili, e visto che il nostro è un mare essenzialmente chiuso, con in aggiunta duecento milioni di turisti l’anno? Eppure spesso sia visitatori che residenti pensano che il mare sia una sorta di pattumiera. La plastica causa bruttura, sporcizia, danni alla vita marina che mangia o si ferisce con questi pezzi di plastica o ne resta soffocata. Le microplastiche invece si accumulano silenziose, entrano nella catena alimentare e diventano parte dell’ecosistema di tutti. E di queste ultime purtroppo il Mar Mediterraneo è campione. Il 7 per cento delle microplastiche del mondo si trova nel Mediterraneo. La concentrazione di microplastica è più alta in Mediterraneo che nella Great Garbage Patch dell’Oceano Pacifico».
Più in generale secondo il rapporto stilato dal WWF internazionale Out of the Plastic Trap: Saving the Mediterranean from Plastic Pollution la plastica rappresenta il 95 per cento dell’inquinamento del mare, fondo marino e lungo le spiagge del Mediterraneo. I paesi più inquinati e inquinanti sono la Turchia e Spagna, seguiti da Italia, Egitto e Francia.
Una persona media che mangia pesce nel corso dell’anno – continua D’Orsogna – mangia pure 11.000 pezzetti di microplastiche che non vede. È una emergenza globale. Ci sono 150 milioni di tonnellate di plastica nell’oceano. In Europa produciamo ogni anno 27 milioni tonnellate di immondizia da plastica. Solo un terzo viene riciclato. Metà dell’immondizia urbana da plastica in Italia, Francia e Spagna non viene riciclata.
Cosa fare in questo quadro? Evidentemente è necessario evitare di lasciare rifiuti al mare, dalle cicche di sigaretta ai piatti di plastica. E, poi, usare prodotti biodegradabili e vetro, non usare ciò che non serve, educare i ragazzi e non lamentarsi se evitare la plastica costa fatica. Perché le nostre azioni, piccole o grandi che siano, hanno evidentemente delle conseguenze.
Ma non basta. È necessaria una pressione politica perché siano assunti, a livello normativo, provvedimenti adeguati. Per questo la scelta di Lampedusa è una occasione di confronto e discussione da non perdere.