Partiamo da un presupposto: l’antifascismo è il fondamento della Repubblica nata dalla Resistenza, ne esprime l’essenza, ne costituisce i pilastri portanti, attraversa tutta la Costituzione come legge suprema e progetto di società. La Resistenza, l’antifascismo e la Costituzione esprimono l’idea di una democrazia fondata sul conflitto, sul dissenso, sull’emancipazione personale e sociale, sui diritti, sulla pace, ed è questo modello – tutto – che oggi è sotto attacco. Lo è, intendiamoci, da molti anni, da quando il neoliberismo ha iniziato a vincere la sua lotta di classe dall’alto e autoritarismo e neoliberismo hanno sperimentato il loro connubio nel Cile di Pinochet, con il beneplacito di Milton Friedman e dei Chicago Boys, ricordandoci che aveva ragione Polanyi ad associare fascismo e capitalismo.
Oggi tuttavia si fa un passo oltre. Muoviamo dal livello base dell’antifascismo: il divieto di «riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista» (la XII disposizione finale – non transitoria – della Costituzione). In passato, ha portato allo scioglimento di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Fronte Nazionale. Il governo Draghi avrebbe potuto, e dovuto, sciogliere Forza e Nuova e Casa Pound, specie dopo l’assalto alla sede della Cgil del 9 ottobre 2021; oggi, il governo Meloni si permette di non condannare le violenze nei confronti degli studenti fiorentini e il ministro Valditara di minacciare chi – la preside Savino – ha detto quanto dovrebbe essere consapevolezza comune di ogni cittadino e ovviamente di chi siede nelle istituzioni (https://volerelaluna.it/allarmi-son-fascisti/2023/02/23/chiamare-il-fascismo-con-il-suo-nome/).
Ma antifascismo non è solo questo. È la costruzione di una società eguale, effettivamente libera, solidale, emancipata: una società che è antifascista ed è un antidoto contro il fascismo.
Antifascismo è garantire e favorire l’espressione del pluralismo, muovere dall’esistenza del conflitto sociale.
Antifascismo è liberare la persona umana, promuovendo il suo pieno sviluppo, nel nome di una effettiva uguale diversità, al netto dei bisogni e dei condizionamenti sociali ed economici; è rimuovere le diseguaglianze e redistribuire la ricchezza; è perseguire la giustizia sociale. È fascismo punire i poveri restringendo i termini di un reddito di cittadinanza già insufficiente ad assicurare a tutti una vita dignitosa, espellere chi vive ai margini con il daspo urbano o con il progetto “Stazioni sicure”. È fascismo rispondere al disagio sociale non con emancipazione e liberazione dai bisogni, ma con la colpevolizzazione e l’emarginazione.
Antifascismo è riconoscere che lavoratore e imprenditore non hanno gli stessi interessi e che occorre garantire il lavoratore, riequilibrando attraverso il diritto, lo sciopero e l’azione sindacale, rapporti di forza diseguali. Antifascismo è quindi la lotta dei lavoratori contro delocalizzazioni selvagge, contro le condizioni servili dei falsi lavoratori autonomi e dei braccianti agricoli, così come contro il biopotere che si occulta dietro l’home working o il lavoro governato dalle piattaforme.
Antifascismo è riconoscere il valore del dissenso: dissentire è antifascismo. Il dissenso e la sua manifestazione – lo dicevamo in questa sala un mese fa – è imprescindibile in una democrazia e la sua repressione e criminalizzazione è segnale di una involuzione autoritaria. Disobbedire con azioni civili nonviolente, in nome dell’ambiente, rifiutarsi di caricare le armi, come fanno i portuali, è antifascismo, mentre è fascismo reagire con violenza o con provvedimenti spropositati nei confronti di chi getta della vernice (lavabile!) sui palazzi delle istituzioni o si incatena al balcone della Regione e si assume la responsabilità del proprio gesto.
Antifascismo è creare le condizioni perché possa svilupparsi una partecipazione effettiva e consapevole, muovendo da una scuola e un’università che stimolino la riflessione critica, l’immaginazione, la ricerca libera. Antifascismo, dunque, è opporsi alle varie riforme, di Ruberti, Gelmini, Renzi, all’obbrobrio della scuola dell’umiliazione; contestare l’aziendalizzazione che funzionalizza il sapere, a partire dall’alternanza scuola-lavoro, e la logica diseguale e competitiva della meritocrazia.
Antifascismo è rendere effettiva la libertà di manifestazione del pensiero, sollevare dubbi e interrogativi, come ha fatto, nei giorni scorsi, il medico Amodeo sulla strage di Cutro, prontamente minacciato (e questo è fascismo)
Antifascismo è rifiutare la logica dicotomica e artificialmente semplificatrice amico/nemico, come spezzare una narrazione omologante e ragionare in termini di complessità e contestualizzazione. La creazione della figura del nemico è funzionale a una deriva autoritaria: compatta e distrae dalle responsabilità di condizioni di vita sempre più indegne e diseguali, da una devastazione ambientale che incalza. L’antifascismo, ancora, vuole la pace, terreno di garanzia dei diritti, non l’invio di armi. La guerra, con la sua violenza, con il suo nazionalismo identitario, escludente e cieco, con la sua semplificazione rassicurante, con la vittoria come annientamento del nemico, con la retorica eroica che occulta gli orrori, è invece amica di un regime autoritario.
Ancora. I costituenti antifascisti ragionavano di riconoscimento al rifugiato di «tutte le cure che si possono prodigare», ora si accusano le vittime e si respingono le persone, delocalizzando la tortura e compiendo un genocidio di Stato dei migranti.
Prepotenza e sopraffazione sono in perfetta consonanza con il neoliberismo che è violenza estrattivista, sfruttamento e competitività sfrenata, in una hobbesiana guerra di tutti contro tutti per la propria egoistica autoaffermazione, in una società dove la persona è l’imprenditore di se stesso, e, dove, citando liberamente dal PNRR, il volontariato è capitale sociale, l’emancipazione delle donne è empowerment nelle condizioni competitive. Neoliberismo e autoritarismo condividono il medesimo spazio della diseguaglianza e della violenza; non solo: il primo ha bisogno del secondo, per blindare la propria ingiustizia e disumanità; magari con l’aiuto di un nazionalismo conservatore all’insegna del “Dio, patria, famiglia” che mistifica la frantumazione sociale e la solitudine della corsa al successo individuale, favorendo al contempo il mantenimento di un atteggiamento di passiva acquiescenza verso quanto accade, normalizzando la guerra, il genocidio dei migranti e le diseguaglianze. E allora appare il filo nero che lega repressione del dissenso, disumanizzazione dei migranti, espulsione e criminalizzazione di chi vive ai margini; non è un caso che i primi provvedimenti del governo Meloni siano il decreto contro i rave (e in senso ampio chi pratica alternativa), il decreto legge per ostacolare i soccorsi in mare e una legge di bilancio classista.
Contro questo filo nero, l’antifascismo vive nelle lotte e nei conflitti che attraversano la società. L’antifascismo è nel “ora e sempre resistenza” che anima le iniziative dell’Anpi, nelle parole di chi – cito dal sito di Extinction Rebellion – dichiara di ribellarsi «non violentemente al nostro Governo ed alle Istituzioni corrotte ed inette che minacciano il futuro di tutti noi»; è nel convergiamo e insorgiamo dei lavoratori della GKN, nelle occupazioni degli studenti; nei presidi di chi rifiuta la guerra e la sua logica; nei cortei di chi l’8 marzo scende in piazza contro il merito e il patriarcato nella settimana eco-trans-femminista; in chi soccorre i naufraghi e in chi non accetta confini che uccidono.
Tutto questo dobbiamo ricordare il 25 aprile, e non solo il 25 aprile: l’antifascismo è pratica quotidiana. Occorre impedire la revisione della storia, la neutralizzazione di una Costituzione partigiana – oggi, possiamo dire, una Costituzione controegemonica – che proietta nel futuro la volontà di trasformare il presente nel segno della dignità di tutti e della giustizia sociale, contro il fascismo di ieri e di oggi che ripropone la prepotenza, il dominio del più forte, nei luoghi di lavoro, nella società e nella politica.
Chiudo con le parole di Teresa Mattei, espulsa dal liceo dell’aggressione squadrista dei giorni scorsi, partigiana, deputata all’assemblea costituente (la più giovane e una delle poche donne), a cui si deve la concretezza del progetto di emancipazione dell’art. 3; sono parole da ascoltare pensando all’invio di armi in Ucraina, alla strage di Cutro, alla colpevolizzazione della povertà, al governo del “non disturbare chi vuole fare” e alla criminalizzazione del dissenso: «Il fascismo ha tradito l’Italia, …togliendo ai lavoratori le loro libertà, conducendo una politica di guerra, una politica di odio verso gli altri Paesi, facendo una politica che sopprimeva ogni possibilità della persona umana di veder rispettate le proprie libertà, la propria dignità, facendo in modo di togliere la possibilità alle categorie più oppresse, più diseredate del nostro Paese, di affacciarsi alla vita sociale…».
Non permettiamo che accada ancora.
È l’intervento (che anticipiamo) predisposto dall’autrice come introduzione all’assemblea “All’armi son fascisti. Torino reagisce” del 6 marzo.