La settimana scorsa Panorama ha pubblicato un singolare articolo di Carlo Giovanardi, ex senatore ed ex ministro del secondo Governo Berlusconi, dal titolo “Ora basta con l’ipocrisia sulle foibe”. Come in altre occasioni, un politico evidentemente digiuno di storia se la prende con gli studiosi (citando esplicitamente gli autori di questo articolo) definiti “negazionisti” perché, a suo dire, giustificherebbero il dramma delle foibe, viste come la conseguenza della politica repressiva dell’’esercito italiano nei confronti delle popolazioni jugoslave nei due anni precedenti, dopo l’invasione avvenuta nell’aprile del 1941. «Per nulla», tuona l’ex ministro, non è vero niente! Secondo lui questa tesi è del tutto arbitraria, frutto della «protervia manichea» di una banda di «nostalgici di Tito» che avrebbero come unico scopo quello di «attenuare le gravissime responsabilità dei comunisti». La prova verrebbe da un documento «presentato per la prima volta» al pubblico, scrive il periodico.
Peccato che i documenti in realtà siano due – l’autore li fonde erroneamente – e che siano entrambi noti agli storici da decenni, citati in innumerevoli saggi e manuali, e facilmente reperibili in rete. Il primo è la famigerata “circolare 3c”, emanata dal generale Mario Roatta nel marzo 1942 in Jugoslavia, quella che prevede la cattura di ostaggi, la fucilazione immediata dei prigionieri, la creazione di campi di concentramento (dove vennero internati 100.000 civili). Le pratiche repressive evidenziate in quel documento vengono però attribuite per sbaglio a una seconda circolare, emanata dallo stesso Roatta in Italia dopo la caduta del regime fascista, il 25 luglio 1943, e che niente hanno a che vedere con le «complesse vicende del confine orientale». Così, alla luce di questa svista macroscopica, le repressioni in Jugoslavia nei due anni precedenti alle foibe, secondo Giovanardi, non sarebbero mai avvenute. In sostanza l’autore cita un documento che prova proprio i crimini che vorrebbe minimizzare… per minimizzarli! Accecato dalla volontà di dimostrare a tutti i costi una tesi ideologica precostituita, l’ex ministro ci dà una lezione di metodo al contrario.
Siamo al paradosso. Da una parte abbiamo due studiosi, uno dei quali ha dedicato tutta la carriera a studiare la guerra in Jugoslavia in quegli anni e ha da poco pubblicato, proprio sul tema delle foibe, un libro per Laterza nella collana Fact Checking. La storia alla prova dei fatti, nata proprio con lo scopo di smentire questo genere di luoghi comuni storici favoriti dall’ignoranza o dalla malafede. Dall’altra abbiamo un politico nettamente schierato su posizioni anti-resistenziali il quale, partendo da un assunto clamorosamente sbagliato (la confusione fra due documenti scritti in anni e contesti diversi), porta avanti una tesi “negazionista”, in questo caso sì, nei confronti dei crimini dell’Italia fascista in Jugoslavia, sui quali esistono valanghe di prove, innumerevoli saggi e documenti. Insomma: un “negazionista della storia”, accecato dalla furia ideologica accusa di malafede gli studiosi, confondendo date e luoghi, in un articolo che umilia, tra l’altro, il concetto stesso di deontologia giornalistica.
Sarebbe ridicolo, se non fosse drammatico. Perché questo è il modo in cui ancora oggi qualcuno pensa di poter fare politica della memoria, con toni da odiatore seriale e senza alcuna conoscenza dei fatti, continuando a sfruttare la sofferenza patita da centinaia di migliaia di persone a causa di un’analoga politica d’odio che ottant’anni fa ha portato la guerra, la violenza e la morte in un territorio fino a quel momento in pace.
Questo infelicissimo, imbarazzante scivolone di Giovanardi insegna che chi strumentalizza la storia quasi sempre non la conosce. La foga con la quale il passato viene piegato alle esigenze polemiche del presente impedisce quella aderenza ai fatti, quella conoscenza capillare delle fonti, quella serietà dell’interpretazione che sono il pane quotidiano degli storici. Per questo bisogna diffidare della storia riscritta dai partiti, dai parlamenti, dai politici di professione: perché serve semmai a capire questi ultimi, non già i fatti dei quali pretende di fornire una lettura ufficiale. È una regola con poche eccezioni: chi usa i fatti del confine orientale come una clava, dimostra immancabilmente di ignorarli, quei fatti.
Un milione di caduti ha avuto la Jugoslavia all’epoca, e i cinquemila morti delle foibe sono parte di quell’immensa carneficina. La storia va raccontata tutta, ricordando le vittime, ma anche i carnefici. Ed è questo che dovremmo fare, senza farci trarre in inganno dalle tesi deliranti di chi usa la storia senza conoscerla.