In Umbria e a Perugia non sono mancate negli ultimi anni provocazioni di tipo fascista, come le recenti scritte razziste e antiebraiche che hanno imbrattato monumenti storici. Ancora più grave è il tentativo di una parte del centro-destra che governa il Comune e la Regione di equiparare fascismo e antifascismo e di sdoganare memorie e personaggi fascisti. Così il 25 aprile il commissario, nominato dalla Regione, dell’Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea, nato nel 1974 su iniziativa di consiglieri regionali democratici e di ex partigiani, ha dato vita, presso il cimitero monumentale di Perugia, a una vergognosa iniziativa che pretendeva di trasformare il 25 aprile da festa della liberazione dal nazifascismo a celebrazione della “riappacificazione” tra fascisti e antifascisti. È evidente che nessuna riconciliazione è possibile con chi rivendica di avere combattuto per mantenere l’Italia sotto il tallone del nazifascismo, cooperando attivamente alla deportazione dei cittadini ebrei e degli oppositori e a orribili massacri di civili.
A fine luglio la stampa locale ha pubblicato la notizia che nel restauro del Mercato coperto, edificio situato al centro di Perugia, sono stati riportati alla luce due fasci littori, uno all’ingresso, l’altro, molto più grande, all’interno, collocato a fianco del Grifo, simbolo della città. Le associazioni democratiche e antifasciste si sono subito mobilitate con un appello della “Rete 10 dicembre”, composta tra l’altro da Anpi, Cgil, Udi, Società operaia di mutuo soccorso, Libera, Emergency ecc., che ha chiesto la copertura del vergognoso simbolo o il suo spostamento in un contesto diverso e non pubblicamente esposto. Inoltre l’Anpi ha scritto ufficialmente al Sindaco e alla Soprintendenza Archeologia e Belle Arti per rappresentare l’indignazione di moltissimi cittadini e invitare a un incontro per risolvere la questione. Il Sindaco si è detto disponibile e ha avviato un confronto dell’amministrazione comunale con l’Anpi. Purtroppo nessuna risposta è venuta dalla Soprintendenza, trincerata dietro la motivazione che il restauro di un reperto storico non può essere cancellato. Sulla questione vi è stata un’interrogazione dell’on. Fratoianni al ministro Franceschini che ancora non ha risposto. L’opposizione all’esposizione del simbolo fascista si è manifestata anche nelle due Università perugine dove, nel giro di una giornata, sono stata raccolte più di sessanta firme di docenti che ne chiedono la rimozione. A coronamento delle proteste, il 28 settembre in piazza IV Novembre, la più centrale della città, si è svolta una manifestazione molto partecipata, indetta da più di trenta associazioni. Il primo intervento è stato di Mirella Alloisio, partigiana di 95 anni attiva in Liguria e nella liberazione di Genova, che ha insegnato per molti anni a Perugia, dove risiede, e ha avuto recentemente l’iscrizione nell’Albo d’oro del Comune, la quale ha sottolineato l’assurdità della collocazione del fascio su un edificio che si affaccia nella piazza dedicata a Giacomo Matteotti. I manifestanti hanno esibito un manifestino che rappresentava il fascio cancellato e recava la parola d’ordine che dà il titolo a questo articolo.
In effetti le giustificazioni addotte soprattutto dalla Soprintendenza, ma anche da chi ritiene che il simbolo vada mantenuto, sono del tutto inconsistenti. Intanto il fascio littorio non ha alcun valore artistico; quanto a quello storico, è stato apposto nel 1932 (anno X dell’era fascista, come ricorda la scritta accanto al simbolo collocato all’intero del Mercato), ma è stato ricoperto all’indomani della Liberazione per volontà democratica delle istituzioni cittadine e tale è restato per settantasei anni. Quindi, quando si parla di inoffensività del fascio in quanto reperto storico, si pretende di cancellare una storia molto più lunga, quella della Perugia democratica e antifascista che non ha tollerato l’esposizione del simbolo fascista. Inoltre il fascio costituisce un’offesa diretta alla città, alla sua tradizione democratica e repubblicana, a quanti sono stati assassinati e incarcerati dal regime (come le donne antifasciste detenute ricordate da una lapide situata presso l’ex carcere femminile), a quelli che hanno combattuto per liberare l’Italia e hanno anche sacrificato la propria vita (come i partigiani fucilati il 17 marzo 1944, commemorati da una lapide collocata presso il poligono di tiro dove avvenne l’esecuzione). Infine il simbolo fascista potrebbe divenire un luogo di ritrovo per manifestazioni nostalgiche di esaltazione del regime, mentre lascerebbe sbigottiti e magari indignati i turisti italiani e stranieri che venendo a Perugia troverebbero un simbolo di dittatura e di morte al fianco di quello cittadino.
La vicenda reca con sé alcuni insegnamenti. Il primo è che il fascismo non è morto, ma trova oggi un riferimento in organizzazioni che si richiamano esplicitamente ad esso, ai suoi simboli e alle sue parole d’ordine, e trova linfa in dichiarazioni di esponenti politici dei partiti di destra che forniscono loro copertura e giustificazione. Il secondo insegnamento è che l’antifascismo non è affatto superato e trova più che mai fondamento nel contesto politico attuale per la difesa di valori che rischiano di essere messi in discussione, per l’educazione delle nuove generazioni che mantenga viva la memoria, per la necessità di contrastare la narrazione di destra che si fa portavoce di una cultura autoritaria, prendendo come modello le “democrazie illiberali” di Ungheria e Polonia. Certo, come è stato ricordato a Perugia dallo storico Furiozzi, vi è la legge Mancino n. 206 del 1993 che all’art. 4 punisce chiunque in pubbliche riunioni compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri delle organizzazioni che incitano alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Occorre quindi richiamare le autorità pubbliche e la magistratura all’applicazione delle disposizioni antifasciste contenute nella Costituzione e nelle leggi. Ma non basta: nulla può sostituire la mobilitazione diretta e ampia delle associazioni e dei cittadini antifascisti. La dimostrazione viene dal fatto che dopo la manifestazione del 28 settembre si è tenuta il giorno successivo una seduta del Consiglio comunale che ha discusso la questione e il 6 ottobre in un incontro con l’Anpi l’amministrazione comunale ha manifestato la volontà di riaffermare la tradizione democratica della città e il Sindaco ha manifestato l’intenzione di costituire una commissione consiliare, aperta a associazioni e esperti al fine di trovare una soluzione adeguata e condivisa.